Rocco Buttiglione. «Abbiamo fallito nell'idea di dar vita al bipolarismo mite»
Rocco Buttiglione
«Ho garantito per Silvio Berlusconi quando Forza Italia chiese, e poi ottenne, di entrare nel Ppe. Avevamo un progetto comune e possiamo dire di aver fallito insieme se quella idea di dar vita a un bipolarismo “mite” alla tedesca, che vive di reciproca legittimazione e regole comuni, non è andata in porto. Peccato, sarebbe stato un bene per il nostro Paese». A Rocco Buttiglione, assieme al dispiacere, la scomparsa del leader di Forza Italia evoca più di un rimpianto. Uscito dall’impegno politico e tornato all’insegnamento, l’ex leader del Cdu con il Cavaliere non si sentiva più da tempo: «Quando le cose vanno in un certo modo, ognuno dentro di sé tende a incolpare l’altro e i rapporti si guastano. Ma oggi mi rendo conto che sono tanti i fattori che hanno determinato un esito non positivo».
L’ultima espressione tendenzialmente unitaria dei cattolici, il Ppi nato sulle ceneri della Dc affondata da Mani pulite, si spaccò proprio sull’alleanza con Berlusconi. Un celebre “fuori onda” catturato da “Striscia la notizia” rivelò il suo disegno di arruolarlo al suo progetto. Poi di fatto avvenne il contrario…
La mia idea era quella di incastrare dentro un progetto cristiano democratico il movimento berlusconiano. All’inizio si impegnò a non farne un vero partito e pure a far convergere i suoi, alle successive regionali del 1995, sotto il nostro simbolo, mentre noi lo avremmo continuato a indicare come guida del governo. Questo avrebbe consentito di mettere in salvo, a livello locale, la classe dirigente democristiana, e lui avrebbe proseguito nel suo progetto politico.
Invece che cosa accadde?
Accadde che non riuscii nell’intento di portare dentro questo progetto tutto il partito popolare, ma solo una parte. E questo ha molto indebolito la nostra forza contrattuale nella lista comune che facemmo, Forza Italia-Polo Popolare.
In pratica invece di convergere lui su di voi fu lui a ospitarvi nella sua lista.
Di fatto è così, ma avendo dato vita al Cdu, conservando il simbolo dello scudo crociato (mentre l’altra parte, il Ppi guidato da Gerardo Bianco, si diede come simbolo il gonfalone, ndr) il progetto visse una fase di rilancio. Il Cdu era nel Ppe, la famiglia alla quale Berlusconi aspirava ad entrare con Forza Italia.
Ma c’erano molte resistenze al suo ingresso nel Ppe.
Si chiedevano se il suo fosse un partito vero, democratico e se potesse essere considerato un partito democristiano. Kohl lo definiva un gefolgschaft, termine tedesco che vuol dire più o meno capitano di ventura, cioè non uno che viene scelto da un gruppo ma uno che crea lui stesso un gruppo di cui si pone alla guida. Parlai con il cancelliere tedesco, ci fu uno scambio di lettere con il presidente del Ppe Martens. Dissi che c’era l’intenzione di dar vita insieme a Berlusconi a un partito insieme di matrice cristiano democratica e questo lo aiutò a superare le diffidenze, insieme al sostegno del premier spagnolo Aznar.
Ma il progetto non decollò mai.
All’inizio sembrava davvero intenzionato e Scajola si mise al lavoro di buona lena. Avremmo dovuto dar vita prima a una federazione, poi a un vero partito.
Invece?
Il progetto a un certo punto si arenò. Di sicuro l’offensiva giudiziaria che cresceva contro Berlusconi lo rese meno disposto a dar vita a un partito democratico e contendibile, che gli poteva anche essere sottratto lasciandolo da solo in balia dei giudici. Inoltre c’era Fini che era contrario; quanto a Casini non ha mai capito se fosse favorevole o meno. A un certo punto mi accorsi che Scajola non godeva più della fiducia incondizionata del capo. Ed è prevalsa alla fine l’idiosincrasia di Berlusconi per tutta la liturgia e le regole che un vero partito comporta.
La scommessa fatta con la discesa in campo la ha vinta o persa?
Il progetto affascinante che aveva in mente non è riuscito. La sua idea di bipolarismo si è infranta contro la reazione isterica della sinistra e lui si è andato convincendo che agitare lo spettro del comunismo pagava sul piano elettorale. Già Moro ci aveva provato, ma la sua democrazia dell’alternanza richiedeva dialogo fra forze contrapposte per scrivere le regole insieme. E prematuramente è uscito di scena anche Pinuccio Tatarella, uno dei pochi che credeva a questa prospettiva. Si è andata affermando l’idea che il dialogo fosse “inciucio”. Il segno più chiaro di questo disegno fallito è lo spoil system che si realizza a ogni cambio di governo, investendo anche ruoli di garanzia e organismi della società civile che ne dovrebbero restare fuori, sul modello di quanto avviene negli Stati Uniti.
Berlusconi c’è chi lo ha amato e chi lo ha odiato. Per lei come andrebbe ricordato?
Una figura poliedrica come la sua si presta a tante diverse riflessioni. Certo, la politica incattivisce un po’ tutti, ma mi piace ricordarlo per quello che è sempre stato: una persona buona, generosa, aperta. Voleva il bene del Paese, ha colto che ci si avviava verso la crisi e ha lavorato per superarla. In questo momento starà facendo anche lui un bilancio della sua vita. Avrà commesso tanti errori, ma ha fatto soprattutto del bene, in tante direzioni, pensando anche solo al San Raffaele. Che il buon Dio lo accolga nella sua pace.