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La denuncia. Roberto, l’ex sindacalista e l’amianto: raccolgo storie di malati nascosti

Andrea Bernardini lunedì 27 maggio 2024

Roberto Chelucci

Vanga, rastrello, cesoia, annaffiatoio. 79 anni, sposato, padre di tre figli e nonno di quattro nipotine, Roberto Chelucci trascorre molte ore della sua giornata nell’orto che costeggia la sua abitazione a Massarosa, in provincia di Lucca. «È terapeutico», ci confida. Le piante lo tengono «lontano» - si fa per dire - dalla libreria di casa, dove si trovano faldoni che contengono studi scientifici, esami rx, Tac, appunti raccolti con la minuzia di un certosino, a testimonianza di incontri con operai a lungo esposti alle fibre di amianto. E che ora non ci sono più. Una «ferita aperta» per lui, che per diversi anni è stato dirigente nazionale di Inas Cisl e che ora non si dà pace pensando alle migliaia di persone «cui l’Inail, in tanti anni, non ha riconosciuto la malattia professionale: è la più cinica ingiustizia che si continua a perpetrare ai danni dei lavoratori».

Di quali malattie è responsabile la polvere di asbesto? «In questi giorni, dopo la testimonianza e la morte del giornalista Franco Di Mare, si parla molto del mesotelioma, un tumore che colpisce il mesotelio, un tessuto che ricopre molti degli organi interni. Ma all’amianto sono certamente attribuibili anche i tumori del polmone, della laringe e dell'ovaio, le placche pleuriche e l’asbestosi, che è una fibrosi polmonare, anch'essa particolarmente aggressiva. Quanto all’associazione tra amianto e tumori del tratto digerente e del rene, gli studi, invece, sono ancora discordanti».

Quando l’amianto, nel 1992, è stato dichiarato fuori legge, i danni erano già stati fatti: «Per decenni le sue caratteristiche - la capacità di resistere al calore e al fuoco, di essere fonoassorbente, di resistere all’abrasione e all’usura, la flessibilità -, hanno costruito intorno all’amianto un mito», dice l’esperto. Lo si usava per tutto: siderurgia, industria vetraria, ceramica, laterizi, centrali termiche e termoelettriche, fonderie, edilizia. Lo si trovava in coperture in eternit, pareti divisorie, canne fumarie, serbatoi per l’acqua, freni e frizioni di auto ed autobus, asciugacapelli, ferri da stiro, forni, caldaie, guanti da forno. Si credeva che l’amianto servisse a proteggere il lavoratore. Ed invece dall’amianto il lavoratore avrebbe dovuto proteggersi». Il problema è che «l’inalazione delle fibre di asbesto manifesta i suoi effetti anche più di trent’anni dopo. Tanto che il picco delle morti dovute all’esposizione all’amianto è atteso solo in questi anni». La legge impone al lavoratore di dimostrare l’esposizione: un obbligo «che può essere soddisfatto solo con la testimonianza di un collega». Difficile, dopo un periodo così lungo.

In tanti anni Roberto Chelucci ha seguito centinaia di casi di ex esposti all’amianto. Nei suoi occhi l’incontro, dieci anni fa, con Piero Buratti, un ex operaio, manutentore dei forni della Saint Gobain dal 1962 al 1990. «Aveva 76 anni, ma era ancora lucidissimo. Raccontò come le lastre di amianto venivano usate per il rivestimento dei forni. Caschi e guanti erano di amianto. Con i fogli puliti si apparecchiavano le tavole. E negli anni Settanta per riscaldare la fabbrica c’erano condotte che partivano dai forni e portavano il calore nei reparti». Praticamente diffondendo polveri di amianto. Buratti aveva paura. «Su un foglio aveva annotato i nomi dei suoi colleghi morti per tumore». Di lì a qualche anno sarebbe morto anche lui per lo stesso motivo.

Ogni anno Inail diffonde un report sui morti e le malattie professionali contratte nei luoghi di lavoro. Sono conteggiati anche questi casi? «Magari! È una battaglia che sto facendo dal 2007, purtroppo con scarsa fortuna. I meno duemila casi di morti nei luoghi di lavoro riportati ogni anno da Inail, sono un dato parziale, perché non tengono conto di almeno altri 10mila casi di lavoratori ed ex lavoratori che ogni anno muoiono per un tumore generato in ambiente di lavoro, ma non riconosciuto e per questo non indennizzato. I morti per il lavoro sono quindi 12.000 l’anno: quindi non sono 3 al giorno, come comunemente riportato, ma ben 33 al giorno, compreso i giorni festivi, 230 alla settimana, 1.000 al mese. Una vera e propria strage». Chelucci estrae dal cassetto una cartella. «Vede, qui sono contenuti diversi studi, nazionali ed internazionali, che affermano come tra il 4 ed il 10% dei tumori ha un’origine negli ambienti di lavoro. Ebbene: i decessi per tumore (fonte Istat) sono circa 180mila all’anno. Se applichiamo a questo numero la percentuale molto prudenziale del 5,3% (quella del Consiglio sanitario Regione Toscana) si arriva a 10mila decessi all’anno derivanti da tumori professionali, solo un centinaio riconosciuti da Inail».

Il problema, secondo l’esperto, non sta solo in chi ha perso la vita e, con essa, l’indennizzo spettante ai familiari. «Ma la mancanza di consapevolezza del fenomeno, che impedisce di ottenere una efficace politica di prevenzione». Nel 2010 Chelucci fondò a Pisa un comitato degli ex esposti all’amianto. Avviando una collaborazione con Asl e Medicina preventiva del lavoro per il monitoraggio della loro salute. Un’esperienza pilota che poi è divenuta legge regionale. Nella sola area di competenza della Ausl Toscana nord-ovest, nel 2023 si sono sottoposti volontariamente al monitoraggio 340 ex esposti. Spirometrie, Dlco, rx o Tc al torace hanno restituito il quadro di 31 patologie benigne della pleura, 3 asbestosi, 2 mesoteliomi, 4 tumori del polmone. In tutti i casi in cui ricorrevano i requisiti, le diagnosi sono state passate ad Inail per il riconoscimento della malattia professionale.

Ma gli ex esposti sono molti di più. E lo sono anche coloro che ancor oggi sono esposti alle fibre di asbesto: perché, nonostante la sua messa al bando, «l’amianto è ancora presente in molte delle nostre case e nelle nostre città».