Esiste il rischio che il Mediterraneo diventi «il cimitero di un popolo in fuga». Per questo, di fronte alla «sfida» dell’immigrazione, di fronte alla «recrudescenza del fenomeno degli sbarchi di un numero crescente di persone in condizioni disperate in fuga alla ricerca di lavoro e di una vita migliore, di protezione umanitaria», è necessario «affrontare non solo l’emergenza ma anche la lunga durata della presenza immigrata».È quanto ha detto ieri il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, monsignor Mariano Crociata, intervenendo alla riunione della Commissione Presbiterale. A Lampedusa, ha ricordato il presule, «gli arrivi hanno superato le 20 mila persone, ma «il dramma si sta vivendo soprattutto al confine con la Tunisia e con L’Egitto dove sono arrivate quasi 200 mila persone», senza contare la «tragedia di centinaia di morti in mare». È questa realtà a rendere evidente che, oggi, la vera «sfida è quella dell’integrazione interculturale», che innanzitutto sollecita «l’esigenza di valutare la sostenibilità per il nostro Paese, per le sue condizioni economiche, per il suo tessuto sociale e per il suo sistema di sicurezza, dell’emergenza umanitaria costituita dai flussi crescenti di sbarchi sulle nostre coste».Secondo Crociata, per questo, dopo la «prima accoglienza» la «gestione» del crescente afflusso di immigrati va affrontata «con la collaborazione di tutto il Paese» e dell’Unione Europea, in quanto si tratta di un’«emergenza comunitaria». Di qui la necessità di «misure e interventi capaci di far fronte all’emergenza in maniera appropriata, che vada verso soluzioni durature e non generi e poi alimenti situazioni di parassitismo e di disordine sociale». Altrimenti, «da accoglienza e aiuto si trasforma nel suo contrario», ossia nel «mantenere migliaia e migliaia di persone senza offrire una prospettiva».Ed è allora per questo che è necessario «intervenire direttamente in quei Paesi da cui provengono gli immigrati, per contenere con lo sviluppo economico e sociale nei luoghi di partenza i flussi di immigrazione». Inoltre «è urgente – ha sottolineato Crociata – l’accompagnamento e la gestione dei processi di integrazione di quegli immigrati che si trovano a vivere da anni nel nostro Paese», attraverso la capacità di affrontare «questioni complesse di carattere non solo economico e sociale, ma anche legislativo e politico». Rispetto alla questione degli immigrati, allora, «guardare lontano» per il segretario della Cei vuol dire saper cogliere «l’urgenza costituita dall’istanza culturale», in una società come la nostra dominata da «una stanchezza spirituale e ideale».«Una comunità con un forte senso delle proprie possibilità e della propria identità e cultura non teme di soccombere – ha detto – Da noi sembra succedere il contrario: viene meno la forza della coscienza di sé, della propria identità, tradizione e cultura». Di fatto, ha osservato ancora Crociati, «la prospettiva dell’ospitalità rischia di dividere l’Italia, pochi giorni dopo che abbiamo celebrato i 150 anni dell’unità d’Italia», un rischio di fronte al quale bisogna chiedere «al nostro Paese tutto intero di far suo uno stile e un giudizio che sia sempre rispettoso della dignità di ogni persona che è in pericolo di vita o gravemente indigente».Riguardo a ciò, esiste da un lato il problema della «resistenza di alcune parti dell’opinione pubblica e del Paese, di diverse regioni in pratica, soprattutto del Centro e del Nord, a condividere il carico di un così gran numero di sbarcati accogliendone una quota proporzionata». Dall’altro, l’analoga «resistenza» che si manifesta «nei confronti di quell’altra più consistente fetta di immigrati che sono in Italia da uno o più anni, spesso in una condizione abbastanza solida di lavoro e di inserimento sociale».