Il ritratto. Roberto Formigoni, eccessi e riforme del leader caduto all'ultima stoccata
Roberto Formigoni (Ansa)
Quel ragazzo che amava tirare di scherma, nella sua Lecco, allievo ed amico del mitico olimpionico Edoardo Mangiarotti si arrende all’ultima stoccata. Sulla pedana in un attimo si decide tutto, dentro o fuori; nell’interminabile lunghezza dei processi italiani, invece, uno, quanto meno, ci dovrebbe arrivare preparato. Ma Roberto Formigoni non si era mai rassegnato, fiducioso di poter dimostrare la sua estraneità ai fatti. Gli era accaduto più volte nella ultraventennale contesa nelle aule giudiziarie, iniziata nel 1997 con il crac di Lombardia Risorse, vicenda per la quale fu accusato di bancarotta fraudolenta, uscendone alla fine pulito.
Ma se la condanna è arrivata giovedì per aver «svenduto la sua funzione» in cambio di «utilità» come viaggi, vacanze e cene, la sua parabola era già finita molto prima, dall’eco mediatica di una foto, che ritraeva un tuffo del governatore, dallo yacht del mediatore d’affari Pietro Daccò, un po’ scomposto e con le dita a turare il naso.
Finito in galera il proprietario dello yacht la sua vicenda giudiziaria è andata tutta in salita, in un Paese alle prese con una crisi devastante e l’antipolitica a dettare legge, quelle foto non certo in linea con la sua funzione come anche con la sua scelta di laico consacrato nei Memores Domini hanno creato non poco dolore in chi gli ha voluto e gli vuol bene. Quando ha capito che per le sue debolezze vacanziere era preferibile la riservatezza gratuita di qualche amico fidato alla frequentazione dei faccendieri più o meno interessati era ormai tardi.
Perché gli amici, di sicuro, non sono mai mancati, a Formigoni. Io e un milione di amici è il titolo di un libro scritto insieme all’inviato del Tempo Gino Agnese che fotografò la parabola della sua vita nel 1988, nel pieno della sua ascesa, quando sembrava candidabile a tutto. Protagonista della stagione della "assemblea degli esterni" promossa dalla Dc nel novembre del 1981, eletto nel 1984 con 450mila voti al Parlamento Europeo nella circoscrizione del Nordovest, giovane vicepresidente dell’assemblea di Strasburgo, da presidente del Movimento Popolare era intestatario di una mole di consensi enorme. Quella europea sembrava la sua vera dimensione. Anche perché, intanto, la "creatura" che aveva fondato, il Movimento Popolare era passata di mano, affidata a una figura meno marcata politicamente come Giancarlo Cesana, per l’esigenza di non compromettere un movimento ecclesiale come Cl nell’attività di un movimento di impegno socio-politico.
Per Formigoni, come per altri politici che venivano dalla sua stessa esperienza ecclesiale, si trattò da allora in poi di giocarsela in proprio, senza compromettere le sigle ecclesiali di provenienza. Formigoni accettò la sfida. Era una storia che veniva da lontano, la sua. Conosceva Giovanni Paolo II sin dal 1972, quando intervenne a sorpresa a un incontro di Cl a Varsavia, e dieci anni dopo, da leader di Mp, la sua faccia barbuta (poi si raderà, ma allora sosteneva di aver bisogno di risparmiare tempo, la mattina) campeggerà accanto a Giovanni Paolo II, nella sua visita storica visita al Meeting del 1982. Ma ora le vicende della vita lo avevano trasformato in un politico a tempo pieno, di professione si direbbe oggi, con tutta l’accezione dispregiativa che l’affermazione ha ormai assunto.
Ma intanto l’Italia cambiava, la Dc non c’era più, e per un politico di matrice cristiana ritrovare la bussola non è facile. È in quel momento che Formigoni intraprende una breve stagione politica insieme a un altro allievo di don Giussani della prima ora: spaccatosi anche il Partito Popolare Formigoni è al fianco di Rocco Buttiglione nel Cdu fondato dal filosofo. Una convivenza difficile, conclusa nel peggiore dei modi, fra strascichi legali e contese persino sulle serrature, nello storico palazzo di Piazza del Gesù. «Ma oggi umanamente c’è solo il dispiacere per il "fratello" dei miei anni giovanili», dice Buttiglione. Il pomo della discordia è la scelta di Formigoni di andare con il centrodestra, Lega compresa, a guidare la Regione Lombardia. «Ma lì - gli dà atto, Buttiglione - ha realizzato tante delle cose che avevamo progettato da giovani, attingendo alla dottrina sociale della Chiesa».
Il Movimento Popolare aveva intanto chiuso i battenti e Formigoni nella "sua" Regione Lombardia volle vicino a sé tanti dei protagonisti di quella stagione, il fiorentino "ambientalista" Lele Tiscar, il palermitano Salvo Taormina, il cesenate Romano Colozzi, il cognato Giulio Boscagli, ex sindaco di Lecco, e soprattutto il riminese Nicola Sanese, con un passato da sottosegretario e responsabile organizzativo della Dc, nonché fra i promotori del Meeting. «La libera scelta delle famiglie, con l’introduzione del "buono scuola", e l’affermazione di un sistema sanitario di eccellenza in sanità pubblico-privato - dice Sanese, a lungo segretario generale della Lombardia - sono stato il frutto di una "visione" della politica basata sulla sussidiarietà. E se si è potuto parlare di "modello lombardo" è stato per il lavoro di una "squadra" guidata da Formigoni», rivendica oggi, al netto delle vicende giudiziarie.
Alla guida della Lombardia Formigoni è rimasto molto più a lungo di quanto avrebbe voluto, di quanto immaginava per sé, dall’impareggiabile panorama che godeva dal 39esimo piano del Palazzone della nuova sede della Regione, vero e proprio "simbolo" della grandezza di quella lunghissima gestione. Ma chi lo ha prescelto in quel ruolo - Silvio Berlusconi, a lungo presidente anche del "suo Milan - è lo stesso che gli ha più volte tarpato le ali, allorquando non ha fatto mistero, il "Celeste", di avere pronta una squadra per traslocare a Palazzo Chigi.
Nel suo ultimo "giro" al Senato non sembrava più lui. O forse, al contrario, nella consapevolezza dei rischi giudiziari incombenti e nella percezione della fatuità della gloria politica, spesso solitario alla buvette, stava un po’ ritrovando se stesso. La non elezione, nel marzo scorso, con il venir meno dell’ombrello dell’immunità, la deve aver vissuta come un anticipo dell’epilogo di ieri. «Formigoni è stato il miglior governatore in assoluto di tutte le regioni italiane», gli dà atto ora il leader di Forza Italia. A Formigoni avrà fatto piacere, anche se - chi lo conosce ne è convinto - il conforto maggiore al suo ingresso al carcere (maglione a collo alto, e piumino verde, in linea con i suoi gusti un po’ eccentrici) è stato certamente il comunicato di vicinanza di Comunione e Liberazione. In certi momenti non serve un milione di amici, ma il conforto - in una vicinanza profonda, ma non certo assolutoria - di quelli di sempre.