Due ore di ritardo e senza alcuna telefonata di spiegazioni alla presidenza della Camera. Dopo aver atteso inutilmente il leader libico Gheddafi a Montecitorio per il convegno alla Sala della Lupa Gianfranco Fini ha preso il microfono e ha annunciato ai numerosi invitati che non se ne faceva più nulla: «Il ritardo del presidente della Jamahiriya libica al presidente della Camera non è stato giustificato. È la ragione per la quale, assumendomene la responsabilità e nel pieno rispetto di quello che credo sia il ruolo che il Parlamento in una democrazia ha, considero annullata la manifestazione». La comunicazione del presidente della Camera, accolta dai presenti con un applauso liberatorio, ha rappresentato un punto fermo dopo le bizze e le dichiarazioni provocatorie che hanno costellato il viaggio in Italia del Colonnello. Per non pregiudicare i successi, diplomatici ma soprattutto a livello economico, conseguiti in questi giorni di visita, Fini si è assunto fin da subito la piena ed esclusiva responsabilità dell’annullamento. Facendo sapere che la decisione è stata comunicata al governo italiano e al Quirinale a giochi fatti e che Berlusconi gli avrebbe manifestato la sua «piena comprensione». Massimo D’Alema e Beppe Pisanu che, con le loro fondazioni, avevano organizzato la tavola rotonda hanno espresso subito solidarietà al presidente della Camera. Poi, messisi in contatto con la delegazione libica, hanno diffuso la notizia di un malore dello stesso Gheddafi e sono corsi ad incontrarlo a Villa Pamphilij. All’uscita della tenda i due esponenti politici hanno minimizzato: «Gheddafi si è scusato». Ma la notizia non ha spostato di un millimetro il presidente della Camera: «Non ci risulta alcun malore», ha fatto sapere lo staff di Fini e comunque «nessuno ci ha chiamato per avvisarci». Poi la comunicazione, tardiva e al limite della beffa, dell’ambasciata di Tripoli a Roma: il ritardo è stato dovuto alla preghiera islamica del venerdì sera. È ovviamente giallo sui veri motivi della defezione del Colonnello, che aveva già fatto aspettare mezz’ora Napolitano al Quirinale e più di un’ora Schifani al Senato. Di sicuro, alla Camera avrebbe trovato – dopo le sue dichiarazioni Usa uguale Benladen – un Fini pronto a mettere anche dei puntini sulle i. E, in effetti, il testo dell’intervento che il presidente della Camera avrebbe pronunciato in presenza del Colonnello – diffuso dal suo ufficio stampa – conteneva, in un contesto positivo, che prendeva atto del nuovo corso tra Italia e Libia, almeno tre spigolose messe a punto. La prima proprio sul ruolo americano: «Il negoziato bilaterale – Fini avrebbe detto a Gheddafi – è stato accompagnato dal nuovo corso della politica estera libica, caratterizzato dalla rinuncia pubblica alle armi di distruzione di massa e dalla condanna del terrorismo internazionale, che non è mai alimentato dalle democrazie. Le democrazie, a partire da quella Usa, possono sbagliare, ma certo non possono essere paragonate ai terroristi». Secondo e delicato punto che il presidente della Camera avrebbe messo in chiaro, quello delle condizioni dei clandestini rinchiusi nei campi libici: «Auspico che una delegazione di deputati italiani possa recarsi presto in visita ai campi libici di raccolta degli immigrati per verificare il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo sanciti dalle Nazioni Unite e dal Trattato di Bengasi, con particolare riguardo ai richiedenti asilo e ai perseguitati politici». Terzo punto, un riferimento esplicito ai cittadini italiani espulsi dalla Libia negli anni Settanta, previa confisca di tutti i beni personali: «Auspico che gli italiani cattolici ed ebrei che hanno lasciato la Libia costituiscano una preziosa risorsa per le relazioni bilaterali. Di generazione in generazione essi hanno conservato un sincero attaccamento per la Libia. Hanno contribuito con il loro lavoro alla prosperità del Paese e hanno sofferto pagando responsabilità non loro». Secondo un’ipotesi che circola negli ambienti della Camera sarebbe stato proprio il discorso prevedibilmente severo di Fini a consigliare a Gheddafi di disertare l’incontro senza avvisare, in coerenza con la teatralità del personaggio che incarna. Difficile, dunque, allo stato fare un bilancio completo della visita del leader libico in Italia, anche perché i pesanti attacchi di Gheddafi agli Stati Uniti, sui quali Berlusconi non è intervenuto, potevano far nascere un caso con l’America proprio alla vigilia del viaggio del premier a Washington per incontrare Obama. Ed è proprio questo che il consigliere diplomatico di Palazzo Chigi ha tenuto a smentire con solerzia: ovvero che non c’è alcuna irritazione americana per l’esito della visita del Colonnello in Italia e che non ci sarà alcun cambiamento rispetto al programma dell’incontro Berlusconi-Obama.