Il taglio dei costi della politica finisce nelle mani dei questori. Non si tratta di una nuova inchiesta che si abbatte sui Palazzi della politica - le grane in tal senso non mancano in queste ore - ma del tentativo di realizzare attraverso i bilanci interni delle Camere (su iniziativa appunto dei parlamentari-questori) quei risparmi preannunciati in manovra sui costi della politica, e poi fermatisi a livelli irrisori. Una proposta allo studio dei vertici di Montecitorio e Palazzo Madama, per tentare di mettere il freno a questa sorta di asta scatenatasi, con un certo ritardo, fra i partiti, con proposte a rischio di alimentare per lo più la propaganda.Interviene anche Giulio Tremonti: la richiesta che il titolare dell’Economia rivolge a tutti i capigruppo è di estendere «immediatamente» l’applicazione dei tagli alle pensioni d’oro previste in manovra (10 per cento oltre i 150mila, e 5per cento oltre i 90mila) «anche ai vitalizi dei parlamentari». Misura che non poteva essere assunta nella manovra, sembra giustificarsi Tremonti, ma può essere il frutto solo di un’auto-determinazione delle Camere. Misura però già in cantiere, che Tremonti non ha mancato di sollecitare esplicitamente, forse anche per rispondere all’assedio che arriva sul contenuto della manovra - dalla Rete e dall’associazionismo - per aver salvato dai tagli la cosiddetta Casta. «Voglio tranquillizzare il ministro Tremonti sul fatto che il Senato, così come in passato, si adeguerà alle norme previste dalle manovre finanziarie in tema di contenimento dei costi e dei vitalizi», è la risposta un po’ piccata, sia pur nell’aplomb istituzionale, del presidente del Senato Renato Schifani. Il Pd intanto, che ieri ha riunito la sua direzione, sfida Roberto Calderoli, che aveva presentato una proposta incisiva di tagli a partire dal dimezzato numero dei parlamentari, a non limitarsi a proposte futuribili che comportano modifiche costituzionali, destinate a diventare operative dalla prossima legislatura. Troppo tardi, vista la delicata situazione dei nostri conti, e le manovre speculative in atto: «Chiediamo che vengano subito discusse le proposte sulla riduzione dei costi della politica che possono essere varate nell’arco di pochi giorni, a partire dalla discussione sul bilancio di Camera e Senato», sintetizza Enrico Letta. «Basta parole, serve una politica sobria. Ma no alla deriva già conosciuta dell’antipolitica», avverte Pierluigi Bersani.La proposte potrebbero portare a tagli per oltre 50 milioni alla Camera nel prossimo triennio e 30 milioni al Senato. Non tantissimo, ma si tratta comunque di una cifra 10 volte superiore agli 8 milioni previsti in manovra per la voce costi della politica. È l’orientamento emerso ieri dall’incontro dei sei questori (Giuseppe Colucci, Gabriele Albonetti, Antonio Mazzocchi per la Camera, Paolo Franco, Angelo Cicolani e Benedetto Adragna per il Senato). A Montecitorio la linea scelta dal presidente Gianfranco Fini è di rinunciare all’aumento del’1,5 per cento annuo già autorizzato in base all’inflazione dei costi, che non dovrebbero quindi superare il miliardo attuale del bilancio interno. Domani l’ufficio di presidenza dovrebbe ufficialiazzare la proposta, e la voce più consistente dovrebbe essere la rinuncia ormai già decisa all’affitto di Palazzo Marini, avvalendosi del diritto di recesso a partire dal primo gennaio 2012, per un risparmio annuo di circa 14 milioni. Chissà se ne sono avvertiti i circa 70 deputati che hanno i loro uffici allocati in quel Palazzo e che graveranno, dal primo gennaio, sui rispettivi gruppi parlamentari.I partiti si risevano di valutare l’adesione o meno alla proposta "istituzionale", evitando corse al rialzo e presentando proposte alternative. Nel Pdl c’è un gruppo di studio sul problema capeggiato da Isabella Bertolini: «Ci sono altre voci su cui incidere - dice la vice capogruppo -, mi chiedo se sono giustificabili 7 milioni di spese tipografiche per atti che è possibile rinvenire in Internet».