Per giorni, la notizia è passata sotto silenzio. Colpa di quella
introgression genetica che suonava tanto Ogm, argomento tabù nelle redazioni. Invece, il gene PSTOL1 può essere introdotto nelle varietà coltivate con procedimenti tradizionali ed è precisamente questo che avverrà, in virtù di una scelta dell’Irri, l’istituto di Manila che guida il progetto di ricerca e che ha scopi umanitari. Quindi, come attesta la prestigiosa rivista scientifica
Nature, gli italiani dell’Università di Milano hanno partecipato alla scoperta di un meccanismo naturale che aumenterà del 20% la produttività del riso, contribuendo a combattere la fame nel mondo. Senza transgenesi.«Le varietà coltivate oggi non presentano più questo gene che agisce sullo sviluppo radicale e permette di massimizzare l’assorbimento del fosforo e di altri nutrienti - spiega Paolo Pesaresi, uno dei ricercatori italiani che hanno partecipato al progetto -. Il nostro compito è stato quello di individuare, nell’ambito di una sequenza genomica scoperta dieci anni fa in una specie originaria dell’India, il gene PSTOL1 (Phosphorous Starvation TOLerance 1) che consente alla pianta di sviluppare un apparato radicale molto più esteso e quindi di assorbire con maggior efficienza il fosforo, la cui carenza, in alcune aree del pianeta, limita la produttività». La ricerca è internazionale, lo staff italiano è guidato dal professor Martin Kater e le cultivar selezionate saranno offerte gratuitamente ai paesi in via di sviluppo, per i quali il riso rappresenta la prima fonte di nutrimento. Diffondere varietà più produttive significa ridurre i costi dei contadini poveri: dal 2006 i prezzi dei concimi sono triplicati. La Fao stima che per sfamare nove miliardi di persone entro quarant’anni si debba aumentare la produttività del 70% e l’onda lunga della rivoluzione verde - tutta breeding tradizionale e agrochimica - si sta esaurendo: in alcune specie vegetali, i frutti assorbono già il 50% del peso della pianta e lo stesso Norman Borlaug, il padre della rivoluzione verde, ha ammesso che per superare queste soglie bisognerà rivolgersi agli Ogm. Si comprende allora l’importanza di un balzo del venti per cento. «Nel lavoro si dimostra come lo stesso risultato possa essere ottenuto in tempi molto più rapidi con la transgenesi - spiega Pesaresi, che ha lavorato al progetto con Ludovico Dreni, della stessa università - ma si è deciso di non ricorrere a organismi geneticamente modificati per portare il gene PSTOL1 nelle nuove cultivar. Ciò implicherà tempi di riproduzione maggiori, ma permetterà l’ampia diffusione delle nuove cultivar senza restrizioni di sorta». Il genoma della pianta, infatti, non viene modificato con tecniche di ingegneria genetica: il gene "fosforifero" passa dall’antico riso Kasalath alle nuove varietà attraverso il metodo tradizionale dell’incrocio. La scelta di escludere la transgenesi da questa ricerca - i cui risultati potranno comunque essere applicati in agricoltura entro un decennio - si spiega con il fatto che la campagna anti-Ogm ha già fatto una vittima illustre in campo risicolo. Il golden rice, un cereale arricchito con betacarotene per curare l’avitaminosi delle popolazioni povere, è nato dodici anni fa e nessuno accetta ancora di coltivarlo, neppure nei Paesi in via di sviluppo. Anche i consumatori europei sono contrari agli Ogm e nell’Ue la produzione agrobiotech è vietata.La nuova scoperta conferma che esiste un’alternativa. «Il PSTOL1 - dice il professor Kater - apre importanti prospettive per il miglioramento genetico del riso e potrà contribuire alla creazione di nuove varietà altamente produttive», che consentiranno di limitare l’uso di fertilizzanti e potranno crescere anche in terreni carenti di fosforo, come quelli delle Filippine e dell’Indonesia. Potrà essere utilizzato anche in Italia per produrre più Carnaroli? «Non è in agenda, ma non è escluso» è la risposta di Pesaresi.