M5s. Grillo lo molla, Di Maio fa la scissione. «Operazione-verità, uno non vale uno»
Il ministro Di Maio in Parlamento
L’ultima parola che Luigi Di Maio aspettava era quella di Beppe Grillo. Se il garante si fosse espresso per una pausa di riflessione, lui l’avrebbe ascoltato. Ma la sentenza mattutina dell’ex comico - «se qualcuno non crede più nelle regole del gioco lo dica con onestà e deponga le armi di distrazione di massa» - ha convinto il ministro degli Esteri a procedere dritto nel suo piano: gruppi autonomi subito a Camera e Senato, denominati – probabilmente – "Insieme per il futuro".
Della sua intenzione Luigi Di Maio ha parlato nuovamente a Mario Draghi nel cuore della mattinata, mentre erano in corso i negoziati sulla risoluzione per l’Ucraina. Non trapelano reazioni ufficiali o ufficiose da Palazzo Chigi, quindi bisogna stare ai fatti: di certo, dopo il colloquio con il premier, il ministro degli Esteri non è tornato indietro. La mossa è stata presentata al capo del governo come finalizzata a rafforzare la stabilità dell’esecutivo e a "blindare" le prossime tappe: il Pnrr, le riforme collegate, la manovra d’autunno. In serata, invece, il ministro degli Esteri è salito al Quirinale a spiegare le motivazioni della sua scelta al capo dello Stato Sergio Mattarella: a lui Di Maio ha detto che riteneva ormai insostenibile agire come ministro degli Esteri nel pieno del conflitto con la spada di Damocle della delegittimazione strisciante del suo partito. Anche se, va detto, M5s e Conte non escono dalla maggioranza: anzi, in serata, con una nota molto dura, smentiscono i dimaiani che avevano previsto, anche per giustificare la scissione, il passaggio del Movimento all’«appoggio esterno».
La scissione quindi arriva, nonostante la ricomposizione in maggioranza su Ucraina e armi. «Ignobile tradimento», commenta nel pomeriggio l’arcinemico Alessandro Di Battista. Di Maio scrolla le spalle e alle 21.25 va a dare l’annuncio ufficiale ai cronisti presso l’hotel Sina Bernini Bristol, in piazza Barberini: «Davanti alle atrocità di Putin – dice dopo la standing ovation dei parlamentari seduti in sala – non potevamo più mostrare incertezze e ambiguità. La nostra è una operazione-verità: la prima forza politica del Parlamento ha provato a indebolire il Paese e a picconare il governo per motivi di consenso, senza nemmeno recuperare punti. Lasciamo M5s, che da domani non sarà più il primo gruppo parlamentare. Basta populismi, basta proporre soluzioni semplici a problemi complessi. L’uno non vale l’altro, cerchiamo esperienza e competenza».
Si forma un nuovo gruppo «aperto ai sindaci», apertamente elogiati dal ministro degli Esteri come punto di riferimento nel Paese. E non sembra un caso, considerando le strette relazioni che il ministro degli Esteri cerca con figure come Giuseppe Sala a Milano. Così come non è un caso l’elogio di Draghi: "Insieme per il futuro" si mette nel gruppone di chi vuole portare avanti l’agenda del premier.
Il nodo è la politica estera, «l’indifferenza» con cui l’M5s di Conte avrebbe accolto gli «applausi» dell’ambasciatore russo Razov, ma anche il nuovo corso pentastellato che «guarda indietro», «ripete gli errori del passato» e con troppe «ipocrisie» sta «perdendo la fiducia dei cittadini».
I numeri sono importanti - una sessantina di parlamentari in uscita - e testimoniano come l’operazione sia iniziata mesi fa, probabilmente dopo la partita del Quirinale. Fra i 49 deputati che hanno firmato per la creazione del nuovo gruppo (e un cinquantesimo sarebbe in arrivo) ci sono anche il viceministro dell’Economia Laura Castelli, il questore della Camera Francesco D’Uva, l’ex ministro Vincenzo Spadafora, il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, quello per la Salute Pierpaolo Sileri e la numero due al dicastero per il Sud, Dalila Nesci. All’elenco si aggiungono i presidenti delle commissioni Politiche Ue, Cultura e Agricoltura: Simone Battelli, Vittoria Casa e Filippo Gallinella, a testimonianza di una operazione studiata nei dettagli. I senatori sarebbero 11, sul filo per formare il gruppo, e tra loro spiccano la sottosegretaria alla Giustizia Anna Macina e il giornalista Primo Di Nicola. Serve, però, un simbolo cui agganciarsi presente alle elezioni 2018. In molti, del nuovo gruppo, saltano a piè pari il nodo del doppio mandato.