Coronavirus. Rinvii e poche udienze: la «Fase 2» dei tribunali a scartamento ridotto
La Giustizia intrappolata anche dal coronavirus
A poco più di una settimana dalla ripresa delle attività dei tribunali (il 12 maggio scorso), la fase 2 della Giustizia stenta a decollare e i procedimenti arrancano tra rinvii, assenza di personale nelle cancellerie e una drastica riduzione del numero di cause trattate. L’Organismo congressuale forense parla di «caos generale» dovuto alla mancanza di coordinamento tra gli uffici giudiziari nel redigere le circolari per la riapertura. Nel dossier preparato dall’Ocf si prendono in esame le maggiori città italiane e si scopre che a Roma, ad esempio, nell’ufficio del Giudice di Pace vengono trattate 4 cause al giorno anziché le usuali 40, mentre in Corte d’appello, civile e penale, vengono disposti rinvii ad un anno.
A Milano sono rinviate in autunno le cause davanti al Giudice di Pace civile, quelle iscritte a ruolo nei primi di marzo, per le quali c’è la disponibilità dei fascicoli. In caso contrario il rinvio è disposto a data da destinarsi. In Tribunale, sempre per il settore civile, si trattano i procedimenti in cui non devono essere presenti parti diverse da magistrati e avvocati (ma ogni giudice si regola in modo diverso sulle modalità), mentre tutto il resto viene rinviato.
In Sicilia le separazioni avvengono solo per via consensuale, ma ad Agrigento si affrontano solo le giudiziali e in altri capoluoghi le udienze sono sospese e rinviate.
Anche a Bari, per quanto riguarda il penale, i processi con imputati detenuti si celebrano in aula, ma con gli accusati collegati da remoto, mentre quelli con imputati liberi si celebrano di persona (ma fino a un massimo di 4 imputati).
«Stiamo raccogliendo i dati attraverso le nostre 131 camere penali territoriali e non abbiamo ancora risposte dettagliate. Ma i segnali che arrivano sono quelli di una paralisi pressoché generalizzata e largamente ingiustificata – spiega ad Avvenire Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere Penali –. Nonostante molte circolari organizzative prodotte dai singoli uffici giudiziari siano condivisibili, assegnano al presidente delle singole sezioni una discrezionalità immotivata, dando la possibilità di disporre rinvii in base a valutazioni di opportunità non sindacabili ».
Per non parlare dell’assenza di linee guida comuni sulla sicurezza sanitaria: «C’è una grande approssimazione riguardo alle sanificazioni e all’utilizzo di dispositivi di protezione e via dicendo – prosegue Caiazza – . Si improvvisa. C’è chi ha organizzato nuovi percorsi all’interno dei palazzi di giustizia e chi no, mentre altri restano chiusi e basta. Uffici così complessi non possono essere affidati alla gestione di pur eccellenti magistrati, servono figure manageriali dedicate ».
Il punto non sono tanto le differenze su base territoriale, quanto le incongruenze riscontrabili in situazioni simili: «C’è un senso nell’affidare il regolamento dei protocolli per la ripresa ai singoli uffici giudiziari. Ma ci sono evidenti differenze non giustificabili con le esigenze sottese al provvedimento, anche all’interno dello stesso distretto – fa notare Maria Masi, presidente del Consiglio nazionale forense –. È necessaria un’interlocuzione tra i capi degli uffici e le avvocature, ma non sempre c’è stata».
C’è poi il nodo del processo in remoto, su cui le Camere penali hanno già avanzato numerosi rilievi. «Notiamo un atteggiamento di resistenza da parte dell’Anm a un ritorno nelle aule – insiste Caiazza –. Ma se stiamo aprendo anche i ristoranti e i parrucchieri, per quale oscura ragione non si può stare in aula con un giudice a distanza di sicurezza e adottando tutte le misure di cautela necessarie? Non si può avere la pretesa che l’unica forma di rientro sia quella del processo telematico ». D’altro canto, come sottolinea ancora Masi, anche nei casi in cui l’avvocatura si è dichiarata favorevole al remoto, si continuano a preferire i rinvii o almeno, aggiunge, «questo è quello che suggeriscono le prime evidenze».
Al conto va aggiunta anche l’annosa questione della carenza del personale di cancelleria e la sua impossibilità di operare in telelavoro. Come rilevato dalle Camere penali, se da una parte anche in smart working gli amministrativi delle cancellerie non sono autorizzati a collegarsi all’intranet della giustizia (rendendo di fatto inutile il lavoro da casa), dall’altra si fatica a capire la differenza di trattamento rispetto ad altri uffici pubblici essenziali, come le poste ad esempio, che non hanno mai chiuso neanche durante la fase 1. Infine, la norma che ha sospeso la decorrenza dei termini processuali per depositare le istanze d’appello ha bloccato anche i termini per il deposito degli atti dei magistrati.