Carlo Castagna. «La strage di Erba, ferita indelebile, ma la fede mi sostiene»
Tutte le mattine lui è lì, sulla seconda panca della chiesa Prepositurale di Erba. Partecipa alla messa delle otto seguendo letture e preghiere col breviario in mano. Voce tonante, schiena dritta e sguardo fisso all’altare. È settimana di passione, ma per Carlo Castagna la passione dura da più di due anni. Da quella notte dell’11 dicembre 2006 che gli ha portato via moglie, figlia e nipote. Accoltellati, insieme alla vicina di casa Valeria Cherubini, dalla furia cieca di Olindo Romano e Rosa Bazzi, che stanno scontando in carcere la pena, in attesa del processo d’appello che si celebrerà presumibilmente in autunno. In questo tempo, Carlo Castagna ha fatto i conti nella sua carne con il dolore. Ha imparato a scoprirne il significato, ha trovato nella fede l’energia per guardarlo in faccia, per non cedere alla disperazione. E per affrontare la vita con uno sguardo positivo. Dopo averlo incontrato nella chiesa Prepositurale, lo accompagniamo nella sua casa alla periferia della città.
Molti sono colpiti dalla forza d’animo che ha dimostrato in circostanze così dolorose. Dopo tutto quello che le è successo, c’è chi ha trovato 'sovra-umano' il suo comportamento. Dove la trova, questa energia?
Se penso a quella notte tremenda e ai giorni seguenti, io stesso sono stupito. In quei momenti c’era da impazzire. Conoscendomi, mai avrei pensato di riuscire ad affrontare quello strazio, e invece è arrivata una inattesa serenità. Dio vuole il nostro bene, anche se le strade della sua realizzazione sono talvolta molto dolorose. Mi è stato vicino, illuminando il mio cammino quotidiano. Certamente mia moglie Paola ha continuato ad aiutarmi dal cielo. E certamente ha contato molto l’educazione ricevuta.
Che c’entra l’educazione?
I miei nonni, i genitori, l’ambiente in cui sono cresciuto: da loro ho respirato una umanità tutta penetrata dalla presenza di Dio. E poi 'mamma Lidia', mia suocera, che con i suoi 85 anni continua a testimoniarmi una grande fede. Poche ore dopo la tragedia, mi disse: «Carlo, dobbiamo perdonare chi ha commesso questo delitto, chiunque sia stato. Altrimenti, come facciamo a recitare il Padre nostro, come facciamo a dire 'rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori'»?
Come guarda oggi a Olindo Romano e Rosa Bazzi, le due persone che hanno cambiato la sua vita?
Durante il processo è stata dura. In alcune sedute mi sono trovato davanti alla loro sfrontatezza, alle risate, alle provocazioni. Ma se ci penso a mente fredda, continuo a ritenere che gli assassini sono vittime. Vittime del male, che si è impadronito della loro mente e del loro cuore. Credo che finché camperanno, il rimorso li roderà. Chi commette un delitto come questo, abbrutisce la propria persona. Da parte mia, li ricordo nella preghiera, chiedo a Dio che possano ravvedersi e capire che quanto hanno fatto non ha nessuna giustificazione. Potranno trovare la pace solo con un cuore contrito. Abbiamo tutti bisogno di Qualcuno che ci liberi dal male.
Azouz Marzouk, suo genero, è stato arrestato e processato per spaccio di droga, ora è in attesa di decisione sulla sua espulsione dall’Italia. Lei sperava che cambiasse vita: si sente in qualche modo tradito?
Conoscevamo il tipo di vita che faceva. Si sperava che la nascita del piccolo Youssef avrebbe portato qualche cambiamento, ma non è stato così. Non gli erano mancate occasioni per mettersi a lavorare onestamente, invece lui ha continuato a cercare il guadagno facile. Ma non rinuncio a sperare: spero che con mia moglie, sua moglie e suo figlio che lo guardano dal Paradiso possa incamminarsi su una strada diversa.
Lei è diventato un punto di riferimento per molti che hanno visto come si è comportato in questi mesi e cosa ha detto. È andato nelle parrocchie e nelle scuole a incontrare i giovani parlando di perdono, di convivenza e di integrazione. Perché?
Chi mi conosce sa che non ho nessuna smania di protagonismo. Ho accettato di incontrarmi con qualche gruppo di studenti e con alcune comunità parrocchiali solo per testimoniare che la fede è l’unica cosa che può tenere in piedi davvero la vita. E che per tutti c’è sempre una possibilità di ricominciare, di cambiare: c’è per chi ha sbagliato, c’è per chi ha assaggiato il dolore nelle sue carni, come è capitato a me. Si può sempre sperare, ma solo la fede può sostenere una speranza non illusoria. Per capire questo, però, ci vuole un lavoro educativo, che aiuti a contrastare la cultura dominante che obbedisce ad altre logiche. La fede è come il fuoco, se non viene continuamente alimentata rischia di spegnersi.
Quella notte le ha rubato gran parte dei suoi affetti. Si sente un uomo solo?
Porto nel cuore una ferita indelebile e confesso che la compagnia di mia moglie Paola mi manca molto. Mi mancano gli occhi di Raffaella e il sorriso di Youssef, anche se i miei figli Beppe e Pietro, con mia nuora e i miei adorati nipoti, mi sono materialmente vicini. Ma sto anche scoprendo il valore della solitudine.In che senso? Per molti anni, passando davanti al cancello di una villa sulla strada per Ispra, ero sempre colpito da una frase scolpita su una lapide: 'Beata solitudo, sola beatitudo'. Adesso capisco che davvero la solitudine può diventare strada alla beatitudine, se sostenuta dalla forza della fede. Mi sento solo ma non abbandonato, perché aiutato dal ricordo e dalle parole di Paola, Raffaella e Youssef. E vivo nella speranza certa di poterli riabbracciare in Paradiso. Vede, quello che è successo mi ha insegnato una grande verità: la vita non ci appartiene, anche se spesso ci comportiamo come se ne fossimo i padroni assoluti, come qualcuno va dicendo in questo periodo a proposito della legge sul testamento biologico.
Che ne pensa delle discussioni nate attorno al caso di Eluana Englaro?
Penso che nessuno, neppure un padre, ha il diritto di togliere la speranza di vita, anche quando è ridotta a un’esile fiammella. E penso che se Beppino Englaro avesse tenuto conto dell’amore con cui le suore di Lecco si stavano prendendo cura di sua figlia, avrebbe dovuto fare un passo indietro. Anzi: non uno, ma dieci. Sulla legge in discussione in Parlamento non entro nel merito ma ribadisco: la vita non ci appartiene, non è un bene disponibile. Lo lasci a dire a chi ne ha fatto una dolorosa esperienza.
Immagino che i giorni della Passione la 'costringano' a ripensare alla sua dolorosa storia personale. Come ha vissuto questa Settimana Santa?
Quando arrivano questi giorni, anch’io mi rimetto davanti al mistero della morte. Ripenso alla sofferenza di Gesù, e in qualche misura mi immedesimo nel suo dolore. Anni fa, quando uscì il film 'Passion' di Mel Gibson, mia moglie e io fummo molto colpiti. Ricordo che qualcuno si scandalizzò, trovandolo troppo 'sanguinolento'. Per me e Paola, al contrario, fu come una scossa che ci costrinse a rimetterci davanti alla sofferenza fisica di Gesù in tutta la sua portata salvifica. Ci aiutò a capire che Cristo doveva aderire a un progetto misterioso, e che solo il Padre gli dava la forza per farlo. Il fatto che il sottoscritto, con tutti i suoi limiti e le sua debolezza, abbia trovato l’energia di affrontare questo grande dolore, è la dimostrazione che Dio non mi ha abbandonato. Qualche settimana fa ho molto apprezzato un’intervista rilasciata dal cantante Enzo Jannacci a proposito del caso Englaro. Diceva che ognuno di noi, come Eluana, ha bisogno di una carezza del Nazareno, ha bisogno di sentirsi amato da un amore senza limiti, l’amore di Gesù. Se penso a come ho potuto reagire a quello che mi è capitato, devo riconoscere che anch’io sono stato raggiunto da quell’amore, da quella carezza del Nazareno. E quando arriva la Settimana Santa, capisco che se Dio mi ha chiesto di abbracciare la croce, c’è anche per me la promessa della Resurrezione.