Reportage. Il miraggio integrazione. L’Olanda e la paura di accogliere
Il villaggio vacanze di Oranje, che nel 2015 ha accolto 700 rifugiati. Oggi la struttura è vuota
"Avvenire", il quotidiano francese "La Croix" e l’olandese "Nederlands Dagblad", uniti da rapporto di cooperazione giornalistica ispirata ai comuni valori cristiani, hanno deciso di tentare un bilancio del percorso dell’Europa nei 5 anni che sono trascorsi dal 2015, l’anno ricordato per la «crisi dei rifugiati». Con reportage, analisi e interviste i tre giornali intendono proporre ai rispettivi lettori un lavoro ispirato da una riflessione condivisa e dalla volontà di mostrare il bene che esiste nella società europea e i passi che restano da compiere nella costruzione di una casa comune aperta ai principi di solidarietà, responsabilità, accoglienza. Gli articoli realizzati dai giornalisti dei tre quotidiani, ideati insieme, vengono pubblicati sulle rispettive testate per offrire all’opinione pubblica di Italia, Francia e Olanda uno sguardo aperto a un orizzonte più vasto di lettura e comprensione dei fenomeni. Questo progetto in particolare prende spunto dall’anniversario di un anno che ha segnato il destino del nostro continente: nel 2015 oltre un milione di rifugiati e migranti raggiunsero le coste europee e durante il viaggio in migliaia persero la vita. La stragrande maggioranza partiva da Paesi dilaniati dai conflitti: la Siria, l’Afghanistan, l’Iraq. Una vicenda che costrinse l’Europa a porre al centro dell’agenda politica la questione dei rifugiati, dell’accoglienza e dei ricollocamenti. Una questione ancora drammaticamente aperta.
La Renault blu si ferma accanto allo stretto marciapiede lungo l’Oranjekanaal. Il conducente scende piano per la leggera discesa e chiede in modo burbero: «E tu chi saresti?» Un estraneo a Oranje dà subito nell’occhio: il paesino del Drenthe, provincia nordorientale dell’Olanda, conta meno di 150 anime e tutti si conoscono. Perciò quando Jos Juurlink, 73 anni, ha visto un giornalista del quotidiano olandese Nederlands Dagblad che camminava da quelle parti, ha dovuto subito verificare. «Sai, qui bisogna sempre tenere sotto controllo la situazione, controllare chi arriva e chi se ne va».
Come direttore del villaggio vacanze “Oranje”, Juurlink è un’istituzione in zona. Ci ha lavorato dagli anni Ottanta e i vacanzieri lo consideravano come il “sindaco”, nel senso che godeva dello stesso prestigio del primo cittadino. «In realtà ero la vera attrazione di tutto il Parco». Poi è arrivato il 2015. E anche l’Olanda ha dovuto fare i conti con i disordini e con le guerre civili che già da qualche anno stavano sconvolgendo il Medio Oriente. Le foglie autunnali della Primavera araba sono cadute sotto forma di migliaia di richiedenti asilo, in fuga dalla violenza e in cerca di un porto sicuro. I centri di accoglienza del Coa, l’organo centrale olandese di accoglienza rifugiati, erano strapieni e il governo Rutte si è trovato in seria difficoltà: dove mettere tutti questi rifugiati? Ovunque nel Paese venivano approntati Centri temporanei, e così è stato anche nel piccolo paesino del Drenthe.
Alla fine del 2015 erano circa 700 i rifugiati alloggiati nei bungalow del villaggio vacanze “Oranje”, un progetto ormai in crisi dell’imprenditore Henny van der Most. Van der Most era riuscito a trasformare una fabbrica di amido di patate in un paradiso per le vacanze e aveva convertito i 250 container frigo in casette-vacanza, ma già da anni il villaggio non andava più tanto bene. Affittando le casette al Coa, le cose erano cambiate e la struttura era invece tornata a guadagnare. La gente del posto aveva capito che bisogna accogliere chi è in pericolo di vita, racconta Ton Baas, l’allora sindaco del comune Midden-Drenthe, di cui faceva parte Oranje. «Gli abitanti non hanno assolutamente nessun sentimento negativo riguardo ai rifugiati. Certo, avevamo paura che qualcosa andasse storto, ma in tempi incerti come quelli era del tutto comprensibile». Tuttavia Baas restò di stucco quando alla fine del 2015 Klaas Dijkhoff, vice ministro per l’immigrazione e appartenente al VVD, il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, lo chiamò al telefono per comunicargli che sarebbero arrivate ancora alcune centinaia di rifugiati al villaggio vacanze, fino alla capacità massima di 1.400 residenti. «Ero assolutamente contrario e gliel’ho detto», racconta Baas. «Il mio secondo giorno da sindaco avevo detto ai cittadini di Oranje: non ne arriveranno altri, è una promessa! E non avevo alcuna intenzione di non mantenere la parola data». Perciò Dijkhoff si sentì rispondere così dal sindaco indignato, suo collega di partito: «Se vuoi proprio accogliere nuovi rifugiati, vieni tu stesso qui a spiegarlo».
La sera che Dijkhoff arrivò ad Oranje, divenne il simbolo della resistenza contro l’accoglienza dei rifugiati. «Ehi, grossa Bmw!», gridò una donna accalorata al passaggio dell’auto di servizio di Dijkhoff, prima che un poliziotto la strattonasse via. Le immagini divennero immediatamente virali sui social. «Voleva dire: ecco che arriva il politico di turno da L’Aja a bordo del macchinone a raccontarci cose già stabilite». Come spiega Juurlink, il direttore del villaggio, «Dijkhoff era venuto a fare bella presenza con il suo bel vestito e la sua bella cravatta, ma si trovò un bel muro davanti». Infatti la prospettiva di accogliere un numero di rifugiati che superasse più di dieci volte quello della popolazione, ricorda Juurlink, non era andata giù agli abitanti. Anche secondo lui non era una questione di accoglienza, ma di quantità. «Siamo una piccola nazione, e di certo un paesino piccolissimo. Questa situazione era totalmente sproporzionata. E la popolazione si è giustamente ribellata». Il sindaco Baas è d’accordo con Juurlink. «Inoltre il paese non era per niente attrezzato con infrastrutture o negozi, i rifugiati andavano in giro, nei quartieri senza niente. Mi posso immaginare il disagio». Alla fine si optò per una accoglienza “ultra-breve” di alcune centinaia extra di rifugiati nel villaggio vacanze “Oranje”, dopodiché si tornò velocemente al numero iniziale. «Quell’accordo non è più stato infranto».
In molti altri luoghi, l’arrivo dei rifugiati era accompagnato da proteste. Il leader del Partito per la Libertà, Geert Wilders, parlava di «bombe di testosterone», sui manifesti delle campagne politiche apparivano le parole vol is vol, pieno è pieno, e in molti comuni si dimostrava contro l’apertura di centri per i richiedenti asilo.
Il direttore Jos Juurlink - Jacob Melissen
Una nazione spaccata in due? Questa immagine non corrisponde alla realtà, dice Jaco Dagevos, professore di Integrazione all’Università Erasmus. «Le grida più forti arrivano dagli estremi. Ma devi tenere conto che la maggioranza al centro la pensa in modo molto più sfumato riguardo all’accoglienza dei rifugiati. In quest’area maggioritaria si ritiene che i “veri” richiedenti asilo debbano poter venire e restare fino a che i Paesi di origine non siano di nuovo sicuri. Questa ospitalità si accompagna spesso con l’impegno per una buona integrazione, soprattutto in ambito culturale». Gli olandesi sono molto più negativi sui migranti economici che giungono da “Paesi sicuri” come il Marocco, e vengono spinti qui soprattutto da motivi economici. Tali sentimenti anti immigrazione esistono già dall’inizio del millennio, spiega Dagevos riferendosi all’ascesa di Pim Fortuyn e al famoso saggio del pubblicista Paul Scheffer sulla “fallita” integrazione degli ultimi arrivati.
Dopo il picco della crisi migratoria del 2015, il professore rileva tuttavia l’emergere di un «enorme entusiasmo» nel voler aiutare le persone che sono fuggite dalla guerra e dalla violenza. «Gli olandesi hanno accolto i rifugiati, hanno spiegato loro usi e costumi del nostro Paese e hanno insegnato loro la nostra lingua. Ad un certo punto c’erano più volontari che richiedenti asilo, spesso provenienti da reti informali come le chiese. Questo grosso gruppo centrale forse non grida tanto forte. Ma c’è!». Perché allora, nonostante questa apertura, continuavano ad esserci molte proteste e resistenze tra i comuni, nelle case di quartiere e nei centri di accoglienza? «Perché spesso non si fa partecipare la popolazione al processo decisionale» spiega Dagevos. E parlando del paesino Oranje: «Lì la gente non ha potuto decidere nulla. Di colpo sono arrivate centinaia di richiedenti asilo nel piccolo centro, e gli abitanti hanno potuto solo prenderne atto. La gente si è spaventata».
In realtà i timori per le “bombe di testosterone e per gli stupratori” non si sono materializzati, conclude Dagevos: «Anche per quanto riguarda la criminalità, alla fine è andata molto meglio del previsto. Le autorità parlano di numeri leggermente più alti, ma comunque il dato va spiegato alla luce della giovane età dei rifugiati».
Oggi entrando nel parcheggio del parco divertimenti “Oranje”, si vedono immediatamente i resti del centro di accoglienza, che è stato abbandonato per i tagli dovuti ai piani di austerità: prefabbricati bianchi e spogli, svuotati completamente. Qui aveva sede l’organizzazione, il medico e l’assistenza ai rifugiati. Ma se ci si inoltra un po’ più in là si vedrà tutto un altro aspetto del villaggio. I bungalow nel “paesino dei clown” – così è anche chiamato il complesso – sembrano essere ancora in pieno utilizzo. Nulla di tutto ciò: già da anni il parco è abbandonato e le abitazioni sono vuote. Ma la manutenzione prosegue, racconta il direttore Jos Juurlink. In un piovoso giovedì guida la sua auto attraverso il parco che, senza visitatori, sembra ancora più triste. Anche per Juurlink è triste. «E fa male, perché è come un figlio per me». I rifugiati avevano trovato uno spazio gradevole, spiega: «Guarda come tutto è ameno e bello. Ogni casetta ha un terrazzo con sdraio e ombrellone. Dentro c’è una piccola cucina, due letti e poltrone. Sì, si stava proprio bene qui. Speriamo che tutto torni come prima».
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