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Elezione diretta. Accordo nella maggioranza, avanti col «super premier»

Angelo Picariello lunedì 30 ottobre 2023

Il logo della presidenza del Consiglio dei ministri, nella sala stampa di Palazzo Chigi

La maggioranza raggiunge l’intesa sulla riforma costituzionale e venerdì il ddl Casellati, che intende introdurre il premierato, ossia l’elezione diretta del presidente del Consiglio, arriva in Consiglio dei ministri, con l’obiettivo di approvarlo entro le Europee. «Abbiamo una responsabilità storica, consolidare la democrazia dell’alternanza e accompagnare finalmente l’Italia nella Terza Repubblica», aveva detto Giorgia Meloni, domenica, nel messaggio alla convention della Dc di Rotondi.

La premier tratta sui contenuti, ma incassa nel vertice convocato in mattinata a Palazzo Chigi l’unità di intenti di tutta la coalizione. Raggiunta l’intesa sull’elezione diretta del premier, sulla spinta soprattutto di Forza Italia (mentre Fdi puntava inizialmente sull’elezione diretta del capo dello Stato) viene escluso il meccanismo della sfiducia costruttiva, che Meloni non voleva per il rischio di cambi di maggioranza che consente. Ma alla formula simul stabunt simul cadent - che avrebbe portato allo scioglimento del Parlamento in caso di sfiducia al premier eletto - è stata preferita, al temine della mediazione, una norma “antiribaltone”, che impone di mantenere gli stessi «impegni programmatici» (formula più generica perché il mantenimento della «stessa maggioranza» sarebbe stato a rischio di incostituzionalità) , ma consente di continuare la legislatura con altro esponente della stessa colalizione vincente, che, altra novità sostanziale, ottiene con un premio di maggioranza, il 55% dei seggi, in caso non lo raggiunga col voto.

«Niente governi tecnici, ribaltoni, cambi di maggioranze e partiti al governo, niente nomine di nuovi senatori a vita. Il voto degli Italiani conterà finalmente di più», esulta sui social Matteo Salvini. La ministra delle Riforme Elisabetta Alberti Casellati, lo definisce un «un grande passo avanti verso la “riforma delle riforme”, che darà stabilità al Paese e restituirà centralità al voto dei cittadini».
Ma con la convergenza, dalle opposizioni, dei soli voti di Italia viva è lontano l’obiettivo di schivare il passaggio del referendum confermativo, ottenendo i due terzi in entrambi i rami del Parlamento. Il Terzo Polo si spacca definitivamente: «Siamo per rafforzare i poteri del premier, non per l'elezione diretta, perché squilibra il rapporto col presidente della Repubblica», così Carlo Calenda certifica il “no” di Azione. «Se Meloni porta la riforma costituzionale con l’elezione diretta del premier, noi ci siamo», conferma invece il suo “sì” Matteo Renzi. Che però poi avverte: Noi siamo per il sindaco d'Italia. Sì alle riforme, no ai pasticci, con questo Governo le bozze hanno vita breve, durano meno di una storia su Instagram».
In questo modo, sostiene il capogruppo di Fi in Commissione Affari istituzionali Paolo Emilio Russo, «offriamo ai cittadini chiarezza senza toccare le prerogative del capo dello Stato. Abbiamo tutto il tempo ora per fare un buon lavoro, chiudendo una stagione che ha portato 68 governi diversi in 75 anni».
Ma, a parte Renzi, le opposizioni non lasciano spiragli. «Se c'è stata in questi anni un'istituzione che ha salvaguardato la credibilità e la stabilità è stata la presidenza della Repubblica le cui prerogative non accetteremo vengano intaccate», avverte la segretaria del Pd Elly Schlein. Per il M5s è solo un «pastrocchio per nascondere il disastro della manovra», sostengono i capigruppo nelle commissioni Affari Costituzionali Alfonso Colucci e Alessandra Maiorino. Poi interviene anche Giuseppe Conte: «È incredibile che il governo usi quest'arma di distrazione di massa, rispetto a una manovra di tagli e tasse - dice il leader pentastellato a La Stampa -: si preannuncia un accrocco costituzionale, con interventi a cuor leggero su equilibri delicati, spacciando l'avventurismo per riformismo».
«Non ci siamo», sostiene il costituzionalista Stefano Ceccanti, che pure, in area dem, è fra i più dialoganti sul tema. «Non si capisce perché, per rafforzare l'esecutivo, non si sia preso come riferimento uno dei modelli già consolidati, come ad esempio quello tedesco». Ma al di là dei contenuti ne fa soprattutto una questione di metodo, Ceccanti: «Si sarebbe dovuti partire da una proposta parlamentare, e non da una iniziativa del governo, come accadde nella riforma federalista di Berlusconi del 2005-2006», poi sonoramente bocciata dal referendum.
«Svuotano Parlamento e Capo dello Stato», denuncia per Sinistra Italiana Nicola Fratoianni. Di «tomba della democrazia rappresentativa, colpo di grazia al parlamentarismo e fine del ruolo del Presidente della Repubblica come garante della Costituzione», parla Riccardo Magi, segretario di +Europa. E sul fronte sindacale promette battaglia la Cgil. Il segretario confederale Christian Ferrari ci vede un «sovvertimento della Carta Costituzionale».