Roma. Senato: resta l'immunità ma l'indennità no
Spedito, speditissimo, il ddl costituzionale è quasi al traguardo. L’arrivo è previsto per giovedì (o al massimo venerdì) e il nuovo Senato comincia a prendere corpo, con due novità importanti varate lunedì dall’aula, senza la partecipazione di grillini e leghisti: spariscono le indennità per i nuovi senatori, che invece continueranno comunque a godere dell’immunità prevista per i deputati. Anche la scomparsa dei senatori a vita metterà le distanze dalla attuale Camera alta: cinque senatori a tempo determinato saranno nominati dal presidente della Repubblica per l’arco del suo settennato. A Palazzo Chigi la soddisfazione non si contiene. Matteo Renzi fa il punto con il ministro Boschi e tutto l’entourage e rilancia un tweet del responsabile comunicazione del Pd Francesco Nicodemo: «Non ci saranno più senatori a vita. Abolite le indennità. Le cose stanno davvero cambiando, è #lavoltabuona», è il commento via web.Il premier sta studiando le possibili modifiche all’Italicum, in vista dell’incontro di questa settimana con Silvio Berlusconi, mercoledì o giovedì. E le due riforme restano strettamente legate, come spiega il vicesegretario democratico Lorenzo Guerini: «Il patto del Nazareno siglato dal Pd con Berlusconi ha avuto la brutalità necessaria per forzare una situazione di veti incrociati e resistenze, anche interne, che per troppo tempo hanno impedito le riforme. Se non lo avessimo fatto saremmo nel pantano, invece sulla riforma del Senato abbiamo fatto l’80 per cento del percorso e sulla legge elettorale abbiamo già impostato il lavoro».Presente agli incontri e in prima fila ai lavori sulla riforma costituzionale, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti entra nel merito delle novità. «Con il voto di oggi è stata abolita l’indennità per chi sta in Senato e non ci saranno più senatori a vita. Una rivoluzione! È davvero la volta buona», commenta anche lui su Twitter.Se dunque passa la linea di risparmio evocata più volte dal governo, non si toccano le garanzie dei senatori sull’uso delle intercettazioni e sull’arresto. Si tratta del punto più spinoso del dibattito di ieri, nel quale non sono mancate le voci di chi avrebbe preferito qualche forma di distinzione tra l’immunità dei deputati e quella dei senatori. Alla fine, però, non verrà modificato l’articolo 68 della Costituzione che recita: «I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». E «senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato» a meno di sentenza irrevocabile di condanna, o se colto in flagranza.Gli altri nodi più intricati saranno sciolti in questi tre giorni, quando tornerà al lavoro il relatore di minoranza Roberto Calderoli, ieri assente per la morte della mamma. Ma nel giro di poche ore, lunedì, gli articoli dal 3 al 9 superavano lo scoglio del voto senza colpo ferire. Piuttosto lasciando strascichi di polemica, come nel caso dell’innalzamento del numero delle firme stabilito per la richiesta di referendum da 50 a 250 mila. Un aumento «non saggio», secondo la presidente della Camera Laura Boldrini, che spera in una modifica nel prossimo passaggio parlamentare. Così come una modifica, sul Titolo V, la auspica Ncd, che vorrebbe assegnare esclusivamente allo Stato centrale il potere di commissariamento delle Regioni. Insomma, la riforma è quasi in porto per la prima delle quattro letture, e restano ancora fuori i Cinquestelle insieme con la Lega, che non partecipano ai lavori.