Per anni i fanghi di depurazione del polo della concia delle pelli di Santa Croce sull’Arno finivano qui, in Campania, o in Puglia. Smaltimento illegale, in mano alle ecomafie come dimostrato da molte inchieste degli anni ’90. Poi da un lato la pressione delle Forze dell’ordine e dall’altro l’introduzione di nuove tecnologie, come l’inertizzazione dei fanghi da utilizzare come mattonelle o sottofondi stradali, oltre alla forte riduzione del pericolosissimo cromo nel trattamento delle pelli, ha quasi azzerato il circuito illegale. Un’esperienza virtuosa nella gestione dei rifiuti speciali che sono il vero problema, molto più di quelli urbani. Mentre questi ultimi arrivano a 32milioni di tonnellate l’anno, i primi, tra pericolosi e non pericolosi, ammontano a quasi 138milioni. Sono i resti delle lavorazioni industriali e artigianali. Quelli più complessi e costosi da smaltire, e quindi più appetibili dal mercato illegale, come le polveri di abbattimento dei fumi degli impianti termici (centrali, cementifici, termovalorizzatori), i fanghi di depurazione industriale, i rifiuti degli impianti siderurgici e quelli delle chimica e petrolchimica. «Bisognerebbe focalizzare l’attenzione sui luoghi di produzione e rendere economicamente vantaggioso smaltire legalmente i rifiuti di questi impianti - spiega l’ingegner Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambient - .In molti altri Paesi lo si fa, da noi ancora poco».Così resta aperto una grande "buco nero" nel quale fanno ricchi affari i clan di tutte le mafie. Che oltretutto incendiando i rifiuti impediscono di risalire a chi li ha prodotti, cancellando il loro "Dna". Nel 2011, considerando solo le inchieste dove è stato contestato il traffico organizzato di rifiuti, sono state individuate 346mila tonnellate di rifiuti speciali gestiti illegalmente. Questi sono i dati certi che emergono dalle inchieste. Quelli ufficiali, contenuti nell’ultimo Rapporto sui rifiuti speciali dell’Ispra (ministero dell’Ambiente), sono tranquillizzanti. Apparentemente… In primo luogo perché solo per una parte dei rifiuti ci si basa su documentazione, mentre per circa la metà è una stima. Un effetto dell’ancora mancata applicazione del Sistri, il discusso sistema di monitoraggio dei rifiuti speciali. Nel 2010 (ultimo dato disponibile) la quantità prodotta è stata di 137,9 milioni di tonnellate. I rifiuti speciali non pericolosi, desunti dalle elaborazioni MUD, il cosiddetto "740 ambientale", sono stati 61 milioni di tonnellate. A questi vanno aggiunti 9,6 milioni relativi alle stime per il settore manifatturiero e per quello sanitario e circa 57,4 milioni di rifiuti inerti, interamente stimati, per un totale di rifiuti speciali non pericolosi pari a 128,2 milioni di tonnellate. Il quantitativo di rifiuti speciali pericolosi si attesta invece a oltre 9,6 milioni di tonnellate, di cui circa 1,7 milioni relativi ai quantitativi stimati di veicoli fuori uso. Tutti questi andrebbero smaltiti. Ebbene, sempre dalla lettura del rapporto, si scopre che sempre nel 2010, i rifiuti speciali complessivamente gestiti in Italia sono stati circa 145 milioni di tonnellate: 91,8% non pericolosi e 8,2% pericolosi. Un numero addirittura superiore a quelli prodotti solo, in parte giustificato dai 5 milioni di rifiuti speciali importati, anche perché 3,8 se ne vanno invece all’estero. Un bel mistero. Ma come vengono smaltiti? Il 67% recupero materiali, ed è il metodo che nasconde molti affari sporchi come buttare ceneri di fonderia non trattate nelle fondamenta dei palazzi o sotto le strade. Il 20% trattamento chimico/biologico. Il 10% in discarica. Il 3% in inceneritori o cementifici. Una situazione impiantistica insufficiente in Italia (in gran parte al Centro-Nord), sottodimensionata, eppure davanti agli impianti non c’è la fila che ci si aspetterebbe. Il che alimenta i sospetti, sul sistema "parallelo". Ma non mancano altre esperienze virtuose. Come la Calcestruzzi Ericina Libera, azienda di Trapani, confiscata al boss di "cosa nostra" Vincenzo Virga che da alcuni anni ha aperto l’unico impianto del Sud per il riciclo degli inerti. Ma anche occasioni perse. Nell’are metallurgica di Piombino dieci anni fa venne costruito un impianto per inertizzare i rifiuti da utilizzare al posto del materiale da cava. Ma lavora pochissimo. «Da un lato - spiega ancora Ciafani - gli enti locali sono restii a usare i rifiuti pur trattati, dall’altra la lobby dei cavatori non lo vede di buon occhio. E così i rifiuti continuano ad andare sul mercato illegale».