Una scudisciata. Altro che «delitti di mafia», i traffici illegali di rifiuti speciali, tossici e pericolosi vanno chiamati «delitti d’impresa». Mentre il legislatore sembra che lasci tutto sommato fare, se non addirittura dia una mano. La Procura nazionale antimafia va giù durissima. Lo fa con le parole del suo capo, Franco Roberti, e del suo esperto di crimini ambientali, il sostituto Roberto Pennisi. Durante il 'VI Forum internazionale sull’economia dei rifiuti' organizzato dal Polieco (il Consorzio per il riciclaggio dei rifiuti a base di polietilene) a Lacco Ameno, sull’isola d’Ischia.
Ecomafia? «Riduttivo» La Dna ne ha per tutti, senza remore e davanti ai tanti parlamentari che partecipano al Forum. Punto di partenza di Roberti: «Ha subito colpi devastanti» e tuttavia «la criminalità organizzata è ancora molto forte», dice subito. Quindi continua: «È riduttivo parlare di 'ecomafie', perché si dà l’impressione che le mafie siano protagoniste di questo fenomeno del traffico illegale dei rifiuti e non è così». Le mafie, «soprattutto la camorra, hanno offerto servizi ai produttori disonesti, che per risparmiare e nascondere la quota in nero della propria produzione non potevano che rivolgersi a chi smaltiva illegalmente».
Ancora il Procuratore nazionale antimafia: «È stato calcolato che nel nostro Paese c’è «una produzione in nero pari al quarantasette per cento di quella complessiva e questo produce rifiuti in nero che devono essere smaltiti in nero». Morale? Certo «non possiamo più parlare di delitti di mafia», perché «questi sono delitti d’impresa». A proposito: le associazioni di categoria, «in particolare quelle che raggruppano gli imprenditori, devono vedere nei controlli e nella tracciabilità dei rifiuti non un freno alla libera iniziativa privata», ma piuttosto «quel valore aggiunto che ne consacra la funzione fondamentale che svolge nella società».