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Ucraina. Il popolo della pace dall'Italia a Kiev: in 100 davanti all'ospedale distrutto

Giacomo Gambassi giovedì 11 luglio 2024

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«È nostro dovere essere vicini alla popolazione ucraina con una presenza attiva e concreta per costruire relazioni di pace». Lucio Turra si muove fra le macerie dell’ospedale pediatrico di Kiev colpito lunedì scorso nel bombardamento russo sull’interna nazione che ha fatto 41 morti. È nella metropoli «grazie all’Azione cattolica», come lui stesso racconta. Ed è uno dei cento “pacificatori” che dall’Italia sono arrivati in città con il Mean, il Movimento europeo di azione non-violenta. Una rete nata nelle prime settimane dell’aggressione russa che raccoglie sigle della società civile, del terzo settore e del mondo cattolico: dall’Ac al Movimento adulti scout, dal Movimento di volontariato italiano a Base Italia, dal Movimento dei focolari a Vita. Con loro anche i rappresentanti dell’Anci, l’Associazione Comuni italiani.

È l’undicesima spedizione del “popolo della pace” targato Mean in Ucraina che stavolta ruota attorno una data “simbolo”: quella dell’11 luglio. La memoria liturgica di san Benedetto, patrono d’Europa, a 60 anni dalla proclamazione da parte di Paolo VI. E l’anniversario della strage di Srebrenica, la mattanza di 8mila uomini e bambini musulmani bosniaci pianificata nel 1995 dal generale serbo Mladic durante la guerra nell’ex Jugoslavia. «Una data che è, al tempo stesso, invito alla preghiera, grido di denuncia e richiamo alla responsabilità», afferma uno dei portavoce del movimento, Angelo Moretti. Come racconta il programma della giornata di ieri in cui si intrecciano dolore e speranza.

«Non possiamo tacere», spiega il motto della missione. Ed è proprio davanti a quanto resta del presidio ospedaliero devastato dalla furia di Putin che si ferma la delegazione italiana. «C’è bisogno di far accadere la pace e far smettere la guerra», avverte don Giacomo Panizza, il prete del riscatto e della solidarietà che in Calabria si batte per la legalità e la giustizia. Anche lui è nella capitale ucraina. All’ingresso del nosocomio sfregiato il gruppo viene accolto dal primario della terapia intensiva, Serhii Chernyshuk, che racconta come i medici abbiano fatto da scudo con i loro corpi ai bambini ricoverati. A testimoniare la tragedia anche tre orsacchiotti lasciati su una barella accanto ai marciapiedi dove gli escavatori continuano a rimuovere i detriti. «Ci chiediamo per chi suona la campana che ha accompagno i funerali delle vittime dell’ultimo attacco. Sta suonando anche per noi, se non faremo la nostra parte per lenire in ogni modo queste sofferenze e questo orrore», riflette Marcello Bedeschi, presente a nome dell’Anci, con il nipote che ha appena compiuto 18 anni. E Moretti aggiunge: «A Bucha, Irpin, Izyum, Kharkiv si ripete l’eccidio di Srebrenica. Siamo qui per farci accanto a un Paese che resiste e per dire che l’attendiamo in una nuova Europa».

La tappa all’ospedale precede il momento centrale della giornata: la preghiera per la pace in piazza Sofia, a due passi dal complesso religioso che racconta le radici millenarie di Kiev, il terrore del regime sovietico che avrebbe voluto radere al suolo la Cattedrale e adesso la tragedia dell’invasione voluta dal Cremlino. Di fronte alle cupole dorate e verdi si ritrovano gli esponenti delle diverse Chiese e fedi, i volontari dell’associazionismo ucraino e soprattutto la nutrita delegazione italiana. Con loro anche i focolarini di Belgio e Polonia. “Un Magnificat per l’Ucraina”, è intitolato l’appuntamento per «chiedere insieme che l’aggressione si fermi e che la pace possa tornare presto in questa martoriata terra», sottolinea il nunzio apostolico, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, che con il Mean promuove l’iniziativa. E chiarisce: «Come Maria vogliamo ribadire che “i potenti verranno rovesciati dai troni”, che l’orecchio di Dio sarà teso verso gli oppressi e che gli oppressori, anche se apparentemente più forti sul campo militare, non avranno l’ultima parola. Inoltre diciamo che la guerra è contro Dio e non può trovare giustificazioni».

Il ponte orante unisce l’Italia e l’Ucraina. Collegati venticinque Comuni della Penisola: da Roma a Milano, da Ancona a Ostuni. Ma anche piccoli paesi o monasteri di clausura. Ad aprire la preghiera è l’abate di Montecassino, dom Luca Fallica, che ricorda come san Benedetto sia stato «messaggero di pace» per tutto il continente. Dal santuario della Madonna dei lumi, a San Severino Marche, interviene il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo emerito di Ancona-Osimo: «Preghiamo perché quanti hanno responsabilità di governo possano aprirsi al dialogo e recuperare la sapienza che vede nella pace una ricchezza per i popoli e il mondo».

Dura quasi due ore la veglia all’aperto. Fa da pulpito un palco con il maxischermo che mostra le piazze collegate. «Grazie per la vostra preghiera, per la vostra vicinanza, per i vostri aiuti – fa sapere il vescovo ausiliare latino di Kiev-Zhytomyr, Oleksandr Yazlovetskiy –. Tutto questo ci attesta che non siamo soli». Le parole della Bibbia e della liturgia si alternano a quelle di Paolo VI, di Giovanni Paolo II, del vescovo Tonino Bello, del teologo protestante Karl Barth, del Corano o del rabbino Nachman di Breslov. Ma anche all’invocazione al Signore di Fedor Dostoevskij, tratta dal romanzo I fratelli Karamazov: licenza che il movimento si prende in un Paese dove gli scrittori russi sono messi al bando. «Una pace imposta con forza non può essere vera pace», ammoniscono Carlo Bertucci e Paolo della Rocca, volti del pianeta scout. Un pensiero viene rivolto anche ai prigionieri di guerra, questione al centro dell’agenda della diplomazia vaticana e della missione del cardinale Matteo Zuppi.

È una città impaurita quella che incontrano gli attivisti italiani. Ferita dalle bombe. Paralizzata dalle sirene degli allarmi antiaerei. E senza elettricità per i continui raid alle infrastrutture strategiche. Domani, sabato, l’appuntamento più politico della missione: con l’incontro “Il futuro dell’Europa passa dall’Ucraina”. Da Maidan, piazza principale di Kiev ed emblema delle manifestazioni per la libertà, verrà rilanciato l’appello perché «l’arsenale di pace Ue si doti al più presto di un vero Corpo civile di pace, composto da esperti e personale volontario capace di intervenire prima, durante e dopo un conflitto armato», spiega Marianella Sclavi, altra portavoce del Mean, che condurrà i gruppi di lavoro misti, europei e ucraini. Altra richiesta è quella di istituire la Commissione verità e riconciliazione per «superare i traumi di guerra».