Braithwaite. «Riconciliare svuota le carceri. Il 90% dei reclusi non dovrebbe star lì»
Il presidente Sergio Mattarella conferisce il premio Balzan al professor John Braithwaite
Ieri pomeriggio nel corso di una cerimonia tenutasi al Quirinale presso il salone delle Feste, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (presenti i presidenti delle Camere La Russa e Fontana) ha consegnato i premi Balzan per il 2024. Dopo gli interventi delle presidenti della Fondazione Internazionale Balzan “Premio”, Maria Cristina Messa, e “Fondo”, Gisèle Girgis-Musy, i 4 premiati sono stati presentati dalla Presidente del Comitato Generale Premi Marta Cartabia. Al professor John Braithwaite, docente all’Australian National University, il premio è stato attribuito «per il suo contributo allo sviluppo teorico e alla diffusione della prassi della giustizia riparativa», disciplina di cui è considerato un riferimento su scala mondiale. Oggi Braithwaite interviene al Forum interdisciplinare in programma a Roma presso l’Accademia Nazionale dei Lincei. Lunedì invece sarà ospite a Milano dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, alle 9, nell’Aula Pio XI per pronunciare la lecture dal titolo Gentle ideas for hard problems: war and peace, crime and justice. Il professor Braithwaite è membro del Comitato scientifico dell’Alta Scuola “Federico Stella” dell’Ateneo, che al suo interno ha istituito un master dedicato proprio alla giustizia riparativa, diretto dalla professoressa Claudia Mazzucato.
«Il novanta per cento dei detenuti nelle carceri dei Paesi occidentali nemmeno dovrebbe essere lì». L’affermazione è perentoria, e non riguarda solo i potenziali innocenti reclusi , ma anche - e soprattutto - i casi di persone colpevoli, sì, ma che trarrebbero maggiore giovamento per sé stessi e per la società da un espletamento della pena diverso dal carcere. Lo pensa, a ragion veduta, il professor John Braithwaite, considerato il “padre” della giustizia riparativa. E l’insufficiente deterrenza che mostra persino la pena capitale (basti pensare al proliferare di reati di sangue negli Usa che ancora la prevedono) impone di esplorare anche questa strada diversa, «che è anche più efficiente », assicura Braithwaite, docente dell’Università di Camberra, insignito ieri al Quirinale del premio Balzan. Una strada in grado di andare dal particolare all’universale, come avvenne in Sudafrica, per superare l’Apartheid. Una strada alternativa che un Paese come il nostro (che nella sua Costituzione ripudia la guerra e finalizza la pena alla rieducazione del condannato e vieta quelle contrarie al senso di umanità) inizia a prendere in considerazione, sia pur a piccoli passi e con mille incertezze, dopo l’inserimento all’interno della riforma Cartabia. «La giustizia riparativa dà ristoro alle vittime, agli offensori e alle comunità. Poiché il reato ferisce, la giustizia deve guarire», spiega Braithwaite.
In Italia quasi 100 detenuti l’anno si tolgono la vita considerando impossibile il riscatto che la Costituzione prevede. La giustizia riparativa può consentire di andare oltre il carcere?
Vengo dall’Etiopia, le rispondo con un esempio concreto, che mi è stato raccontato dal massimo responsabile della magistratura di Addis Abeba. Una persona fu condannata ingiustamente in base all’accusa di un solo testimone e di indizi molto deboli. Espiata la pena il presunto colpevole ha voluto che venisse riconosciuta la sua innocenza, ma ricorrendo alla giustizia riparativa non c’è stato bisogno di nessuna nuova condanna: è riuscito a far ammettere al testimone di essere lui il vero responsabile, senza che nessuno dei due avesse interesse a riaprire il caso sul piano formale, interesse che non avevano nemmeno i magistrati. Così è stata ristabilita la verità, risanata una ferita, in un modo così efficace che nessuna condanna avrebbe potuto riuscirvi.
Un caso limite, difficilmente replicabile per l’ordinamento italiano, che prevede l’obbligatorietà dell’azione penale. Ma spiega molto bene l’efficacia della giustizia riparativa.
Pochi interventi sono altrettanto efficaci, anche sul piano dei costi: è stato calcolato un rapporto costi-benefici rispetto ai percorsi “ordinari” di 8 a 1.
In Italia c’è un grave problema di sovraffollamento delle carceri e di condizioni della detenzione in molti casi ben lontane dagli standard delle Convenzioni internazionali.
L’efficacia della giustizia riparativa è in grado di agire proprio a questo livello. O meglio, potrebbe agire , se ci fosse maggiore fiducia e maggiore possibilità di farvi riscorso. Invece essa viene utilizzata, in genere, solo per i casi che non prevedono il carcere, e non quindi come un’alternativa ad esso. E viene esclusa per i reati più gravi, questo è sbagliato.
Si sottovaluta l’effetto ulteriore che si crea con il crollo della recidiva e con l’interruzione del rischio-emulazione, se pensiamo ai reati di gruppo fra gang di quartiere, o alle rivalita fra diverse etnie...
La “convenienza” della giustizia riparativa è proprio questa: sana una ferita, consente di voltare pagina. Ci sono studi che lo dimostrano. Sono state condotte otto meta-analisi sull’efficacia nella prevenzione dei reati. Sono studi e situazioni molto diverse, ma portano tutte, fondamentalmente, alla medesima conclusione: la giustizia riparativa ottiene una riduzione statisticamente significativa della criminalità. Senza trascurare che le vittime, in una spirale di odio non sanata, possono trasformarsi in autori di reati, a loro volta. La giustizia riparativa ha effetti più potenti proprio in relazione alle vittime del reato, soprattutto nel caso di reati violenti: la guarigione riparativa e la risoluzione dei problemi hanno l’ulteriore vantaggio di prevenire futuri reati anche da parte delle vittime. Ma questo non viene colto nelle analisi, in quanto si esamina solo il rischio recidiva, e non quello della ritorsione: è un punto molto rilevante, questo, per prevenire le guerre fra bande di criminali organizzati. Ma l’esperienza può essere trasferita anche sulle milizie insurrezionali e anche sugli eserciti nazionali.
Recenti esperienze hanno sperimentato anche gli effetti possibili in teatri di guerra, come l’Irlanda del Nord o il Medio Oriente.
La pace è la nuova frontiera della giustizia riparativa. Dal 2004 ho intervistato 5mila persone coinvolte in 80 conflitti. nell’ambito del progetto Peacebuilding compared (Costruzione della pace comparata). Studio i risultati che può dare la diplomazia riparativa. La fondazione Balzan, che mi ha premiato, finanzierà il prosieguo di questo progetto, che riguarderà soprattutto l’Africa, intervenendo in circa 30 conflitti.