Un gruppo di ragazzi in fuga dal Nord del Mali si è visto respingere la domanda di asilo dalla Commissione territoriale di Ancona perché «si intravedono positivi spiragli per la normalizzazione degli equilibri geopolitici nel Paese». Allo stesso tempo, però, una circolare del ministero dell’Interno del gennaio 2014 ha bloccato i rimpatri verso il Mali proprio perché considerato Paese non sicuro. Reas, invece, (nome di fantasia, ndr) è fuggito dal Pakistan dopo essere stato minacciato di morte da estremistici islamici. La sua colpa: aver difeso pubblicamente alcuni suoi dipendenti di fede cristiana. Ma la domanda d’asilo dell’uomo, malgrado le informazioni circostanziate e la documentazione prodotta, non è stata accolta. Stesso esito per una ragazza in fuga dal Gambia, che ha lasciato il proprio Paese per non subire una mutilazione genitale: la sua domanda è stata rigettata.Negli ultimi mesi il numero di dinieghi alle richieste d’asilo è aumentato notevolmente. Soprattutto per i migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana (in particolar modo la Nigeria) o dal Pakistan. «Molti erano migranti economici che vivevano e lavorano in Libia, sono stati costretti a fuggire per non essere uccisi – spiega Fulvio Vassallo Paleologo, docente presso l’università di Palermo –. Non possono tornare a casa né in Libia».I dati del Ministero dell’Interno parlano chiaro: negli ultimi tre mesi il 50% delle domande presentate hanno ottenuto una risposta negativa. A dicembre 2014, sulle 2.805 domande esaminate, i dinieghi sono stati pari al 48% (1.349 casi). Identica situazione a gennaio 2015 (1.190 rigetti su 2.503 domande) e a febbraio (1.609 su un totale di 3.301). Il balzo rispetto al 2013, quando solo il 29% delle domande ottenne una risposta negativa, è evidente. Dinieghi che, secondo le stime dell’agenzia “Redattore sociale”, mettono circa 35mila persone a rischio di diventare irregolari nel corso del 2015.«Ci stiamo costruendo dei clandestini in casa», è il commento amaro di don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco e della fondazione “Caritas in Veritate” che accoglie circa 100 migranti presso il seminario arcivescovile di Fermo, nelle Marche. Ragazzi che provengono per la maggior parte dal Ghana, dalla Nigeria, dal Mali e dalla Guinea Bissau. «Nell’80-85% hanno avuto una risposta negativa per via di un’interpretazione rigida della normativa – afferma il sacerdote –. In questo periodo hanno fatto corsi di lingua, alcuni hanno lavorato, altri fatto volontariato e ora tutto finisce».Stesso trend si registra anche a Milano: mentre durante l’emergenza Nord Africa del 2011 in Lombardia circa sei richiedenti su dieci ottenevano protezione, oggi la stragrande maggioranza delle persone provenienti dall’Africa Sub-sahariana ha ottenuto un diniego. «Spesso i commissari non ascoltano le storie individuali, ma valutano solo il Paese di provenienza del migrante – commenta l’avvocato Alessandra Ballerini –. Chi racconta una storia troppo dettagliata viene sospettato di essersela studiata su Google e, allo stesso modo, spesso viene rifiutato l’asilo a chi è troppo vago». Per l’avvocato Paolo Gognini, che ha seguito decine di casi ad Ancona, la situazione è drammatica: «Che creano problemi sono le valutazioni assolutamente non adeguate ai principi di diritto e di legge che dovrebbero invece governare lo scrutinio. Si ricorre a criteri variabili. E spesso arbitrari».La situazione, come chiarisce Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas Italiana, «è a macchia di leopardo» e questo rappresenta un ulteriore problema: «Le commissioni dovrebbero agire in base a criteri condivisi a livello nazionale – commenta –. Occorre uno sforzo, servono formazione e aggiornamento per fare in modo che l’esito delle decisioni assunte sia il più omogeneo possibile in tutto il Paese». Il fatto che, in sede d’appello, molti tribunali ribaltino le decisioni delle commissioni, riconoscendo forme di protezione ai richiedenti asilo, è un ulteriore sintomo che qualcosa non funziona.Il cambiamento dei flussi migratori e dei Paesi d’origine sicuramente ha inciso sull’aumento dei rigetti. Altro elemento critico è l’applicazione sempre più diffusa del concetto di “zona interna sicura” all’interno dei Paesi da cui fuggono i migranti. Significa che molte richieste d’asilo sono state rigettate con la motivazione che per mettersi in salvo, sia sufficiente trovare rifugio in altre zone sicure all’interno della nazione di provenienza. «Una decisione in contraddizione con la normativa nazionale – aggiunge Gianfranco Schiavone dell’Asgi, Associazione studi giuridici sull’immigrazione – in materia è intervenuta persino la Cassazione ribaltando la decisione delle commissioni che facevano riferimento alla “zona interna sicura” e concesso protezione».Quel che è certo è che l’aumento dei rigetti alle domande d’asilo provocherà un aumento dei ricorsi in tribunale. Con un conseguente prolungamento dei tempi di permanenza nei centri, un aumento dei costi e un ingolfamento generale del già fragile sistema d’accoglienza italiano.