Augusta. I 166 migranti salvati in mare dalla nave ResQ hanno un porto sicuro
Un volontario della Resq People soccorre alcuni migranti a bordo di una barca
Continua l’ennesimo allarme per salvare vite in mare. Stavolta erano più di 500, il “carico” di due diverse imbarcazioni umanitarie, a cercare un porto sicuro sulle coste meridionali della Sicilia. E per 166 di loro, il dramma sembra essersi concluso.
«Fateci sbarcare, abbiamo bisogno di scendere, e in fretta!», è stato, dopo cinque giorni di navigazione il grido disperato dei migranti ammassati sul ponte, nell’area container e nelle cabine della “Resq People”, in trepidante attesa, fino a ieri sera, quando, verso le 19, è arrivata la risposta delle autorità marittime: «Attraccate al porto di Augusta». E così, per fortuna, è stato.
La nave, attesa a destinazione nella serata di ieri, era stata costretta dal forte vento e dal moto ondoso a ripararsi in acque più tranquille a 15 miglia dal litorale tra Siracusa e la cittadina iblea, dove è finalmente approdata. «Quando arriveranno i soccorsi?» si sono chiesti i migranti nelle lunghe ore di attesa e di angoscia. È la stessa domanda che fino a ieri sera ancora assillava i 322 salvati in due diversi interventi in Mediterraneo dalla “Geo Barents” di “Medici senza Frontiere”, ferma al largo di Lampedusa, in acque internazionali, ancora senza certezze su dove e quando avverranno i soccorsi.
Nell’isola delle Pelagie, negli ultimi tre giorni, gli sbarchi di “carrette del mare” si sono susseguiti uno dopo l’altro: nell’hotspot di contrada Imbriacola si trovano attualmente 633 persone, a fronte di una capienza di 250 posti. La situazione è sempre più complicata e ingestibile. E ieri, altri 110 profughi sono stati trasferiti da Lampedusa con un traghetto di linea a Porto Empedocle, nell’Agrigentino.
E, sempre ieri, un’altra nave, con a bordo 12 persone (tra cui tre bambini piccoli), ha lanciato l’Sos ad Alarm Phone mentre si trovava alla deriva in acque “Search and Rescue” vicino a Malta, in una condizione di difficoltà a causa del mare agitato. «Non possono continuare e il tempo sta solo peggiorando. Le autorità – hanno scritto gli attivisti di Alarm Phone in un tweet delle 17.34 – sono state informate ma non hanno confermato l’avvio di alcuna operazione di salvataggio». «Non lasciateci morire!» è il drammatico appello.
Sulla “Resq People”, un’imbarcazione di soccorso della organizzazione non governativa ResQ-People Saving People, i 12 bambini (alcuni sotto i 5 anni) fino al momento dello sbarco hanno disegnato, le mamme, ormai esauste, hanno lavato i più piccoli nel catino (c’era anche un neonato di nove mesi), i ragazzi più grandicelli invece hanno chiacchierato o ascoltato musica per distrarsi. Altri, travolti dalla stanchezza, si sono addormentati.
Lo racconta Cecilia Strada, figlia del fondatore di Emergency, Gino, scomparso venerdì scorso, nel suo diario di bordo. È stata lei, a nome dell’equipaggio, a chiedere più volte alle autorità l’assegnazione di un approdo. Nella nave erano gli adulti i più preoccupati, spiegano dall’ong, coscienti dei gravi pericoli che, con le loro famiglie, hanno dovuto affrontare. «Ora dopo ora rispondere alle loro domande è stato sempre più complicato – hanno dichiarato i membri del team di Emergency – e sono persone che hanno già sofferto abbastanza, nella vita, nel deserto e in mezzo al mare».
Intanto, mentre le tre imbarcazioni umanitarie erano in stallo nel cuore del Mediterraneo, un barcone da pesca lungo circa 20 metri con 140 migranti di provenienza mediorientale è stato intercettato dalle motovedette della Finanza a poche miglia da Bova Marina e gli occupanti (tutti uomini, alcuni dei quali minori) sono stati condotti al porto di Reggio Calabria e tratti in salvo. Da qui poi i profughi sono stati accompagnati alla palestra “Scatolone”, nella zona sud della città, per l’identificazione, i controlli sanitari e le operazioni di accoglienza.
Poco distante da qui, a Roccella Ionica, erano sbarcati sabato scorso 76 migranti di varie nazionalità: viaggiavano su una piccola imbarcazione a vela, una specie di caicco. Sono stati trasferiti in diversi hub, anche di altre province, in base al piano di riparto predisposto dal ministero degli Interni. E un cittadino egiziano di 50 anni è stato arrestato dagli uomini delle Fiamme Gialle perché ritenuto lo scafista di quel “veliero della morte”, dal quale però tutti i disperati viaggiatori si sono salvati.