RETROSCENA. Renzi: «Se vinco tratto con il Colle E adesso cambio anche i capigruppo»
Se Letta aspetta il Pd, Renzi non aspetta Letta. Per il sindaco di Firenze sta finendo l’attesa. Certo ormai che gli manca una settimana o poco più per la conquista dello scranno di Largo del Nazareno, il piano d’attacco è bello che pronto. Nessun siluro per l’esecutivo. O meglio, nessun siluro diretto su Palazzo Chigi perché – come consiglia l’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari – sarebbe «un suicidio». Renzi le mosse le ha tutte ponderate e se mira alla poltrona del premier, intende arrivarci forte di un partito pienamente nelle sue mani e passando direttamente per il Quirinale. Ovvero, la verifica del programma, il sindaco la farà direttamente con Giorgio Napolitano, del quale ha apprezzato l’indicazione al presidente del Consiglio ad attendere le primarie per votare la fiducia in Parlamento.
«Ci mancava che la chiedeva prima, sarebbe stato uno sgarbo», dicono i suoi. Nessun dubbio su un «dialogo quotidiano con il premier», assicura Dario Nardella. Ma ora il Pd avrà un «segretario eletto, con una forza vera per dettare l’agenda». E ad Alfano che alza l’asticella, sottolineando di essere il partito determinante del governo, il parlamentare renziano replica: «C’è una bella differenza di peso, ormai questo diventa un governo per l’80 per cento del Pd». Anche perché il Pd dovrà risponderne agli elettori, nel bene e nel male. Per questo non ci saranno giochini per sabotare il premier. «I sondaggi sono chiari, gli italiani non sono entusiasti dell’esecutivo, ma lo sono ancor meno di un partito che giochi allo sfascio».
Piuttosto la linea sarà un’altra. Renzi intende verificare con Napolitano lo stato delle riforme. E su questo vuole pungolare l’esecutivo. D’altronde, fanno notare nello staff del sindaco, «è normale che a trattare con il capo dello Stato sia il segretario del partito di maggioranza. Anche se vincesse Cuperlo sarebbe così». Lo stesso Alfano si rapporta con il Quirinale in qualità di segretario del suo partito. E allora tutto dipenderà da cosa sarà in grado di fare il governo. Né tra i renziani c’è l’intenzione di lasciarsi schiacciare dagli alleati. «La forza trainante siamo noi, loro sono una stampella». Insomma, dopo la decadenza di Berlusconi e la spaccatura del Pdl «siamo entrati in una fase nuova, in cui il Pd avrà un leader forte e probabilmente nuovi capigruppo». Nessun intento polemico, spiegano i rottamatori, che ricordano omee sia una prassi per i presidenti di deputati e senatori presentare le dimissioni «essendo diretta espressione del vertice». Veltroni poi, ricordano i renziani, riconfermò Soro e Finocchiaro, e questo per dire che non necessariamente il nuovo leader scatenerà il terremoto.
Il «cambio di passo», però, è in arrivo. Ma, frena Paolo Gentiloni – tra i renziani, senz’altro politico di più lungo corso – aspettiamo domenica prima di parlare. Perché, per l’ex ministro della Margherita, «ora dobbiamo concentrarci sul risultato: un conto è vincere con un margine risicato, altro avere un mandato ampio». Lo scarto tra Renzi, dato per vincitore assoluto, e il suo avversario numero uno Cuperlo, determinerà la sua forza contrattuale. Non a caso da giorni Renzi insiste per portare gli elettori ai gazebo. L’obiettivo è 2milioni di votanti con un margine del 50 per cento.E allora, di fronte alle incertezze della nuova fase che si apre, per i "colonnelli" renziani appare prematuro ragionare sulla ricandidatura a sindaco di Firenze. Dario Nardella non ci trova nulla di male, anzi: «Abbiamo avuto tanti segretari di partito che facevano i parlamentari, questa volta si tratterebbe di un segretario a capo di un territorio e lontano da Roma. Un messaggio all’Italia», dice. Ma nessuno a Palazzo Vecchio ci metterebbe la mano sul fuoco.