La scelta. Def e riforme, Renzi accelera
«I problemi sono a Roma. La sfida è a casa nostra. Ora è il momento di chiudere i dossier, di far vedere l’arrosto agli italiani». Matteo Renzi non si smentisce: nemmeno la presenza di Barack Obama gli fa passare l’allergia ai lunghi vertici internazionali. Così alle 18 convoca in fretta e furia i giornalisti che l’hanno seguito all’Aja, in Olanda, al vertice sulla sicurezza nucleare. Rilascia poche dichiarazioni, poi annuncia: «Riparto di corsa, ci sono molti documenti a Palazzo Chigi».
Così in tarda serata, dopo aver partecipato al G7 convocato d’urgenza sulla Crimea, è di nuovo nella capitale. Con un mare di ostacoli da superare. Il Def da chiudere in anticipo rispetto alla data del 10 aprile, e da collegare al decreto che aumenta di 85 euro le buste paga sotto i 25mila euro netti. La riforma del Senato e del titolo V da far approdare in Aula in tempo per ottenere la prima lettura a ridosso delle Europee. I tagli alla spesa pubblica da decidere, dando seguito anche a misure popolari ma contrastate come quella sui top manager. La grana dell’Expo, da risolvere subito. «Sarà bellissimo smentire gli uccellacci del malaugurio, rimetteremo a posto l’Italia e torneremo a sorridere», twitta il premier a ora di pranzo allegando una lettera ai fiorentini che lancia la corsa a sindaco di Dario Nardella e candida Firenze al G8 del 2017.
La testa è lì, a chi «ostacola il cambiamento», i «gufi» nel linguaggio renziano. Parti sociali, minoranza Pd, superburocrati, top manager che non mollano le aziende di Stato alla vigilia delle nomine. Con una preoccupazione che si aggiunge: il dialogo con Forza Italia si è arenato. Il premier ha dovuto staccare anche il filo diretto con Denis Verdini. Sulle riforme si naviga a vista, con il rischio di perdere la maggioranza dei due terzi necessaria per evitare un referendum. Se Berlusconi non riuscirà a ricompattare le fila, ragionano allarmati a Palazzo Chigi, crescerà il potere di veto di Ncd e sinistra democrat.E allora, tanto vale rinunciare alla cena organizzata dai reali d’Olanda e lasciare la ministra degli Esteri Federica Mogherini a rappresentare l’Italia. Lì, al G7, il suo messaggio di riforme è già passato, non c’è bisogno di indugiare: «Noi italiani dobbiamo toglierci il provincialismo di dosso, il nostro contributo è importante nel mondo. C’è grande curiosità e interesse per le riforme che in questa settimana stanno andando avanti in Parlamento», spiega il premier durante la conferenza stampa lampo. «L’Italia è apprezzata, rispettata e ascoltata al di là del nome del primo ministro», conclude. Poco prima il leader giapponese Shinzo Abe, il creatore dell’Abenomics anti-rigorista, aveva appena dichiarato che «l’economia italiana dipende dalla leadership di Renzi» e che «la comunità internazionale guarda con attenzione alla sua azione».
Durante il volo di ritorno, gli arrivano via e-mail le ultime bozze del Def. L’intenzione è di restare al 2,6 di deficit. Per riuscirci il premier dovrebbe riuscire a coprire l’intera operazione-cuneo con i tagli di spesa. Anche perché va ritoccata la stima del Pil, che Letta aveva fissato all’1 per cento. L’Europa dice 0,6, Renzi potrebbe scommettere sull’impatto economico delle sue misure e tenersi più alto, sullo 0,8. Mentre per placare le ire dell’Ue sul debito, si stimerebbe in uno 0,5 di Pil l’impatto delle nuove privatizzazioni. Quanto invece al taglio di tasse, il Mef smentisce l’ipotesi di un "bonus ad hoc" e conferma un intervento sulle detrazioni Irpef.
Pur sostenendo di non ritenere le Europee un referendum su di lui, in realtà la preoccupazione del premier sul voto sale. Ogni giorno che passa tra gli annunci-choc e la realizzazione pratica rischia di ritorcersi contro il premier. E poi, dicono in serata da Palazzo Chigi giustificando la fuga dall’Aja, c’è la visita di Obama da preparare nei dettagli, dato che domani Renzi non rinuncerà al suo tour del mercoledì tra studenti, sindaci e imprenditori. Stavolta tocca alla Calabria, dove si annuncia un astensionismo record.