Attualità

L'analisi. Renzi I, tutto in dodici mesi

Arturo Celletti martedì 25 febbraio 2014
Non avrà tempo fino al 2018. La sfida di Matteo Renzi e della generazione dei quarantenni che vuole rappresentare, salvo clamorosi colpi di scena, ha un orizzonte temporale più ristretto. Probabilmente dodici mesi alla luce della "clausola di salvaguardia" anti-voto rappresentata dal semestre di presidenza dell’Unione europea al via a luglio e dalle riforme costituzionali da fare a ogni costo (con i deputati che dovranno impegnarsi da marzo sul Titolo V e i senatori sull’abolizione del Senato, e con il superamento delle Province da realizzare prima del 25 maggio). Dodici mesi decisivi. Dodici mesi in cui il premier si gioca tutto, proprio come l’Italia stordita e disillusa da troppi annunci e con un disperato bisogno di fatti. Renzi ha promesso riforme a raffica: quella del lavoro a marzo, della Pubblica amministrazione ad aprile, del fisco a maggio. Una marcia a ritmi serratissimi, aperta dalla sfida sull’Italicum e chiusa a giugno da una complicata partita sulla Giustizia. Cinque mesi per fare quattro cose che l’Italia aspetta da trent’anni. Sembra una scommessa terribilmente impegnativa e per vincerla il neo inquilino di palazzo Chigi (Renzi ha deciso di vivere proprio lì, nella roccaforte del governo) dovrà mantenere intatta tutta la sua carica di rottura e tutto il suo slancio innovativo. Poi, per portare avanti la sua svolta nuovista dovrà sciogliere l’ambiguità di fondo che sottende a questo esecutivo, sospeso fra un programma quanto mai impegnativo (che necessita ben più di una legislatura) e il rischio elezioni continuamente presente dietro l’angolo. Anche perché, sullo sfondo, già prende forma il piano di Angelino Alfano: il capo del Nuovo Centrodestra (che oggi è alleato del premier, ma che progetta di sfidarlo per la guida del Paese) proverà presto ad imbrigliarlo per trasformarlo in un primus inter pares, che poi è il ruolo del presidente del Consiglio nel nostro sistema parlamentare. Oggi il governo c’è, la fiducia delle Camere anche. Renzi spingerà subito sull’acceleratore e proverà a sfruttare la luna di miele per portare a casa risultati in vista del voto europeo di primavera, il primo vero banco di prova. Quel giorno in effetti si capirà molto; si capirà senz’altro quanto l’Italia punta su Renzi e su questo governo. Al premier serve allora una scossa immediata, per arrivare al voto del 25 maggio con il vento a favore. Serve un piano coraggioso di ammodernamento della macchina pubblica, serve un’incisiva riqualificazione della spesa accompagnata da un robusto taglio del prelievo fiscale e contributivo sul lavoro. Serve tutto questo e soprattutto serve in fretta perché la sua leadership, fatta di velocità e di ritmo, non ce la farebbe a sopportare rinvii e non scelte. E nemmeno il ritorno a vecchi insopportabili balletti tra legge elettorale e riforme costituzionali. Il governo Renzi, nato con il peccato originale di non avere una legittimazione popolare diretta (anche per questo una fetta importante dell’opinione pubblica ha assistito con qualche preoccupazione alla staffetta tra l’ex premier e il segretario Pd), ora deve correre. Su tutta una serie di temi decisivi su cui, dopo il prudente Letta, anche l’irruento Renzi ha finora detto ben poco. O per lo meno ben poco nei modi, nei tempi, nelle cifre. Anche su questo serve un cambio di passo. Serve un’agenda fatta di impegni chiari. E serve chiarezza nei tempi di realizzazione e nelle coperture. Il premier oggi è forte, ma in prospettiva potrebbe pagare la grande inesperienza. E il fatto di essere obbligato a fare i conti con i numeri parlamentari. Una cosa è essere sindaco di Firenze, un’altra presidente del Consiglio. Per andare avanti, infatti, serve la determinazione di Alfano, serve l’appoggio convinto di un Pd che invece già mette a tema l’incompatibilità tra premiership e segreteria, serve il sostegno di Scelta civica e dei Popolari per l’Italia esclusi dal governo e decisi a valutare, una ad una, le misure del premier. È per questo che la partita che si è aperta è piena di insidie e nessuno può non mettere in conto il rischio che, a semestre europeo completato, dopo aver messo a segno un paio di colpi su fisco e lavoro e dopo aver centrato l’obiettivo della legge elettorale (che senza il superamento del bicameralismo non garantisce al Paese quella spinta che invece è vitale), Renzi possa decidere che è il momento di tornare alle urne. Oggi è proprio l’"assenza" di questa legge, e l’anomalia che Renzi sia diventato premier alla testa di un gruppo parlamentare (quello Pd) e in un Parlamento non perfettamente corrispondenti alle sue volontà, a rappresentare un’arma ancora spuntata a disposizione del "presidente-sindaco". Il quadro politico, insomma, resta non rassicurante e Renzi non può sbagliare nemmeno una mossa perché o si inverte la rotta oggi o si rischia di non farcela più. L’Italia da oltre vent’anni fatica e il timido rimbalzo congiunturale che si profila per il 2014 non pare in grado di arrestare la drammatica emorragia occupazionale. Per farcela serve una decisa discontinuità rispetto alle manovre economiche degli ultimi anni: bisogna mettersi alle spalle vecchie politiche e formulare una ricetta choc concreta e soprattutto attuabile nel breve periodo. La prima mossa che ha in testa il premier è far ripartire le politiche industriali, tagliando significativamente il cuneo fiscale e finanziando adeguatamente un nuovo sistema di incentivi che spinga le imprese a crescere e a investire in nuove tecnologie e qualità del lavoro. La seconda mossa è una forte discontinuità nei rapporti con l’Europa. L’Italia ha rispettato i vincoli europei più di ogni altro partner dell’Unione. Insomma abbiamo fatto i compiti che ci erano stati assegnati, ma le politiche di austerità hanno tradito tutte le promesse anche per quel che riguarda il risanamento visto che il debito pubblico ha continuato la sua inarrestabile cavalcata.L’azione del premier nei prossimi novanta giorni si concentrerà su tre fronti: riforme istituzionali, riforme economiche e fiscali e rapporti con la Ue. Quest’ultimo punto è però tutto da costruire. Renzi (e il "suo" Pd) sulle questioni europee non sembra avere ancora una forza pari alla "visione" che ha mostrato di avere: la possibilità di sforare il vincolo del 3 per cento del rapporto tra deficit e Pil è un tema per ora solo enunciato e sulla politica dell’euro, sul ruolo delle istituzioni di Bruxelles si sentono solo affermazioni generiche. Anche su questo Renzi deve cominciare a dire qualcosa: spiegare come cambiare il volto della Ue, insieme a chi farlo, con quale strategia. Sull’Europa e la Germania non si possono fare battute: occorre un piano articolato e convincente, occorre spiegare che ha ragione Angela Merkel a dire che se fallisce l’euro fallisce l’Europa. Ma anche evidenziare i limiti di questa Europa e di questo euro che esasperano le differenze anziché promuovere convergenze e che ostacolano ogni forma di allentamento del rigore con il ricatto che "o è così o il rischio è che tutto si sfascia". Renzi, accettando l’incarico di formare il governo, ha promesso un impegno assoluto fatto di energia, entusiasmo, coraggio. Dovrà fare però anche di più. Dovrà tirare fuori le sue qualità e vincere le sue debolezze perché la sua prima volta è forse anche la nostra ultima spiaggia. Gli elettori davanti a un governo serio si comporteranno come sempre con serietà. Ma guai a illuderli ancora. Perché la speranza delusa questa volta rischia davvero di trasformarsi in rabbia e Grillo è in agguato. Anche il capo dei Cinque Stelle guarda alle Europee e pensa di sfruttare tentennamenti e indecisioni del governo e rivalità tra le forze che lo sostengono. I populisti hanno già lanciato la sfida. Ma il premier vuole vincerla coniugando discontinuità e stabilità. Quella stabilità che, come spesso ricorda un fine politico come Arturo Parisi, è qualcosa di profondamente diverso dalla durata: la durata è la somma dei giorni passati, la stabilità è la misura dei giorni futuri. Di quelli sui quali possiamo fare conto per realizzare i nostri progetti. Quelli che attendono gli italiani, al di là dei sorrisi e delle battute del "presidente-sindaco".