Intervista. Renzi: ora sostenere le famiglie con figli
A tarda sera la testa di Matteo Renzi è solo su Londra. Sul nuovo folle attentato terroristico. Sulla nuova scia di sangue e di morte in una città del Vecchio continente. L’ex premier "chiama", ancora una volta, l’Europa: «Se vuole fare le cose sul serio, deve mettere più denari sulla sicurezza, sulla polizia, sulla difesa e togliere tutti i vincoli del Patto di stabilità dalle spese che servono per proteggere le nostre città e la nostra gente». È un messaggio netto. Scandito nelle conversazioni più private e ripetuto davanti alle telecamere del Tg5: «Più risorse per la sicurezza». Le sfide dell’Europa si legano all’attualità più dura. Renzi le mette in fila. Parla di lavoro, di crescita, di nuove sfide. Domande e risposte si accavallano. Un tema è già sulle agenzie di stampa dalla mattina. La gaffe di Jeroen Dijsselbloem sui Paesi del Sud Europa? «Il presidente dell’Eurogruppo ha detto una cosa che non sta né in cielo né in terra, una di quelle cose per cui dovrebbe dimettersi domani mattina, anzi avrebbe dovuto già farlo.
Questi pregiudizi, questi stereotipi, questo atteggiamento da primo della classe, di quelli che non sanno nemmeno com’è fatta l’Italia e che parlano male del nostro Paese va respinto con forza». Premette, il segretario ricandidato del Pd, di non voler parlare dei temi più "scottanti", come la ferita ancora aperta dell’inchiesta Consip che lo ha coinvolto nella figura del padre Tiziano e del suo amico più caro, il ministro dello Sport, Luca Lotti. O come il destino che attende in Parlamento la discussa legge sul fine vita. Ma sono tanti altri i temi che incalzano, al di là della sfida per le primarie.
Nell’ultima prolusione al consiglio Cei, il cardinale Angelo Bagnasco ha indicato in lavoro e famiglia, denatalità e giovani, istruzione e migranti, i temi su cui intervenire. Su quali di questi punti occorre incidere di più?
Le questioni poste dal presidente della Cei sono tutte ugualmente cruciali. Molti osservatori lamentano una crisi democratica dell’Italia, io credo che sia più grave la crisi demografica. Non facciamo più figli e il problema non si risolve solo con misure puntuali - giuste e necessarie - ma con una rivoluzione nel modo di guardare al futuro e di concepire il dono della maternità nel rapporto con il mondo del lavoro e la conciliazione dei tempi. È un cambio di paradigma culturale quello che ci manca, oltre alle necessarie modifiche fiscali che le famiglie numerose (e non solo loro) ci chiedono, giustamente, da tempo. Il rischio educativo, l’emergenza immigrazione, la questione giovanile sono tutti temi altrettanto importanti. Ma oggi la priorità degli italiani è oggettivamente il lavoro.
Il Papa ha detto che è gravissimo togliere il lavoro per fare manovre speculative.
Mi ha molto colpito la parola di Francesco, durissima, sulle speculazioni che strappano il lavoro alle famiglie. In Italia in questi anni abbiamo recuperato 700mila posti di lavoro grazie al Jobs act. E sono numeri certificati dall’Istat. Tuttavia non basta. Intanto perché durante la crisi il saldo negativo era stato di un milione di posti di lavoro in meno. E poi perché comunque le famiglie hanno paura: le innovazioni tecnologiche sono bellissime, ma riducono la forza lavoro nei settori tradizionali. Poi, magari, aprono nuovi settori di investimento. Ma la preoccupazione per il lavoro è comunque centrale. L’Italia deve essere grata agli interventi del Papa su questo tema, in particolar modo durante i grandi appuntamenti europei, come quello in occasione della consegna del premio Carlo Magno e, prima ancora, il bellissimo intervento di Francesco a Strasburgo durante la presidenza italiana dell’Unione.
Come valuta l’intesa raggiunta sulla bozza della Dichiarazione di Roma? Non è l’ennesimo compromesso al ribasso? Non serve una rivisitazione più energica della "nuova Europa"?
Il rischio compromesso purtroppo in Europa c’è sempre, diciamo la verità. Anche questa volta non mi pare una svolta. Si può sempre fare meglio. Personalmente non credo nel valore salvifico dei documenti, anzi. Diciamo che Roma è la seconda tappa di un anno, il 2017, che sarà fondamentale per l’Europa. Il primo rischio è stato evitato con la sconfitta dei populisti in Olanda. Il secondo appuntamento è proprio Roma. I prossimi saranno le elezioni politiche, soprattutto quelle in Francia e Germania. Diciamo che la nuova Europa uscirà da questo 2017 più che dal documento di Roma. Su cui comunque il governo italiano ha fatto il massimo possibile, utilizzando la saggezza e la diplomazia che tutti riconosciamo al presidente Gentiloni.
Si parla di una Unione a più velocità. Ma sembra un enunciato troppo generico. Nulla si sa ancora su come dovrebbe essere l’eventuale futura architettura istituzionale. Lei quali idee ha in proposito?
Noi abbiamo idee radicali. Personalmente sono per l’elezione diretta dei principali vertici istituzionali a cominciare dal presidente della Commissione. Tutti noi sappiamo che è una scelta che richiederà molto tempo, ma se vogliamo sostituire la burocrazia con la democrazia questo è un percorso che andrà fatto prima o poi. Io spero prima. Nel frattempo la proposta che noi avanziamo a tutte le famiglie politiche è quella di fare almeno le primarie. Sarebbe un passaggio importante per la politica continentale. E potremmo evitare di avere personaggi come questo presidente dell’Eurogruppo, Dijsselbloem, che ha fatto dichiarazioni talmente squallide da non meritare altri commenti. Dobbiamo smettere di mettere tecnocrati alla guida di ruoli importanti in Europa.
Registro che anche stavolta è passato al "noi". Ma sulla manovra aggiuntiva da 3,4 miliardi è d’accordo o no che vada fatta? Ed è utile perdere tempo rispetto alla scadenza del 30 aprile chiesta da Bruxelles?
Ho sempre giudicato esosa la richiesta dell’Unione Europea: tutti gli anni discutiamo di qualche zero virgola. Speravo potessero accontentarsi di meno, ma alla fine dei conti non sono tre miliardi il problema. Sono certo che il ministro Padoan avrà la sensibilità di confrontarsi rapidamente con il reggente del Pd, i capigruppo e con i suoi colleghi ministri del nostro partito per trovare una soluzione che, a mio giudizio, è ampiamente alla nostra portata senza alzare le tasse. Una soluzione si può trovare agevolmente, entro le scadenze già stabilite.
La Lega ha disertato l’assemblea odierna alla Camera. E sabato Salvini andrà a Lampedusa. Cosa devono fare di più Europa ed Italia per fermare i populismi? E cosa per sostenere le fasce più deboli?
La Lega deve solo farsi notare. Non ha un’idea, ma solo contestazioni. L’accordo di Dublino - che condanna l’Italia alla solitudine nella gestione dei migranti - lo hanno voluto loro per difendere la legge Bossi-Fini. La sciagurata guerra in Libia che ha causato il problema immigrazione l’hanno voluta mentre al governo c’erano le camicie verdi. Detto questo, se Salvini va a Lampedusa potrebbe fargli bene: l’umanità di una donna come il sindaco Giusi Nicolini e della sua gente non potrà che migliorarlo. Anche perché, in questo campo, peggiorarlo sarebbe un’impresa. Per le fasce più deboli l’Europa deve rilanciarsi sotto il profilo sociale. Non può essere solo deficit, spread e austerity, ma crescita, innovazione, investimenti. E deve fare un grande piano per le periferie, come quello fatto dall’Italia, che il governo Gentiloni sta opportunamente mandando avanti.
Una ricerca Luiss ha rilanciato l’allarme sui giovani, arrivando a ipotizzare di tassare di più gli anziani. Si parla sempre più spesso di una "generazione perduta". Lei ha fatto, dopo il referendum, alcune autocritiche. Non pensa che il suo "errore" più grave sia stato quello di distribuire soldi un po’ a pioggia (anche, a esempio, togliendo l’Imu) senza avere un reale disegno strategico che puntasse a tutelare di più le nuove generazioni?
Il tema non è tassare gli anziani. Basta con questa logica per cui i cittadini sono i bancomat dei politici: basta tasse. Dobbiamo però porci la questione delle nuove generazioni in modo strategico, dalla questione educativa fino all’alternanza scuola lavoro e al welfare. Quanto ai soldi a pioggia, contesto radicalmente questo giudizio, che ritengo ormai un luogo comune. E come diceva qualcuno: «È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio». Abbiamo fatto interventi organici sul fisco con l’Irap per il costo del lavoro, sulle tasse agricole, sugli 80 euro e il ceto medio, sulle aziende e Industria 4.0. Non c’è stata distribuzione a pioggia, ma la prima vera operazione di riduzione della pressione fiscale. Detto questo, sono il primo a sapere che bisogna fare ancora di più.
Il senatore del Pd Stefano Lepri ha preparato un disegno di legge per sostenere la famiglia e il suo collaboratore sulle questioni economiche, il professor Nannicini, lo ha citato al Lingotto. Quali saranno però le traduzioni concrete di un Pd a guida Matteo Renzi?
La proposta di Lepri è interessante, ci stiamo lavorando. Ma se devo dirla tutta, credo che questa legislatura non sarà quella decisiva sul rapporto fisco-famiglie. Penso infatti che sarà la prossima legislatura quella destinata a sciogliere i nodi del reddito familiare e del quoziente. E se vinceremo il congresso del 30 aprile noi come Pd partiremo, su questi temi, dalle considerazioni portate avanti da Nannicini e Lepri.