Inquinamento & salute. Pfas nell'acqua, 9 anni dopo manca ancora una legge nazionale
Attivisti a Venezia contro il pericolo Pfas in Laguna nel 2017
Nove anni e sei governi dopo l’esplosione del caso Pfas, in Italia ancora non c’è una legge nazionale che ponga dei limiti allo sversamento in ambiente degli acidi perfluoroalchilici, tanto utili quando pericolosi per la salute. E «la mancanza dei limiti ambientali nelle acque di falda, nelle acque di scarico e nei terreni, di fatto impedisce alle autorità competenti di intervenire per imporre i provvedimenti necessari di bonifica delle matrici ambientali contaminate».
Il dato fondamentale della relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali a esse correlate, appare a pagina 103 del lungo documento presentato due giorni fa alla Camera, e ha il sapore di un’ammissione di colpa della politica su una vicenda divenuta centrale negli ultimi anni. Il lavoro della Commissione ecomafie, e in particolare dei relatori Stefano Vignaroli (M5s, presidente), Chiara Braga (Pd) e Simone Zolezzi (M5s), fa il punto sullo stato dell’arte di una contaminazione legata indissolubilmente al nome dell’azienda Miteni di Trissino (nel Vicentino), di cui 15 manager sono oggi a processo a Vicenza con accuse come avvelenamento delle acque di falda e superficiali e disastro ambientale.
In Veneto sono almeno 400mila i cittadini nel cui sangue scorrono molecole che numerosi studi scientifici associano a immunotossicità (quindi chi è contaminato rischia di più con il Covid e risponde meno ai vaccini), ipertensione, patologie del fegato e della tiroide, alterazione della riproduzione e rischio cardiovascolare, cancro al rene e al testicolo.
E tuttavia oggi è chiaro come le principali fonti di inquinamento in Italia siano due: oltre a Miteni, la Solvay di Spinetta Marengo, ad Alessandria, i cui dirigenti sono a processo dopo una prima condanna per disastro ambientale del 2015 per sversamento di sostanze diverse dai Pfas.
Miteni e Solvay sono accomunate dal fatto di produrre, e non solo utilizzare, acidi perfluoroalchilici (Miteni fino al fallimento a fine 2018, Solvay tuttora) e dal fatto di aver lavorato entrambe sul Pfas di nuova generazione, il cC6O4: Miteni riceveva resine da Solvay, le rigenerava e sanificava per poi restituirle allo stabilimento piemontese della multinazionale belga.
Nelle aree attigue le due aziende, la contaminazione è ancora oggi fuori controllo. Lo conferma Arpav in Veneto, con picchi di Pfas rilevati anche a marzo 2021 nei piezometri di Trissino, lo conferma Arpa Piemonte che ha rilevato cC6O4 nei terreni e nella falda. Eppure, Veneto e Piemonte sono le uniche regioni a porre dei limiti. Il Veneto ha agito nel 2017 con criteri restrittivi ma incompleti, dato che non riguardano tutte le matrici ambientali e non contemplano tutti i Pfas (per terreno e falda si riferiscono al solo Pfoa, ma i Pfas sono 4.700).
La Regione Piemonte (anche se nella relazione delle Commissione non risulta) ha imposto limiti nella legge regionale 25 del 19 ottobre 2021 ("Legge annuale di riordino dell’ordinamento regionale anno 2021"), ma si tratta di limiti cinque volte più alti rispetto al Veneto, gli stessi che la Provincia di Alessandria aveva indicato nell’autorizzazione integrata ambientale rilasciata a febbraio 2021 a Solvay, di cui la Commissione ecomafie scrive: «Sull’autorizzazione si riscontrano forti criticità in merito ai limiti imposti allo scarico, che non solo sono troppo alti […], ma sono stati fissati senza nessun fondamento e per di più in contrasto con la norma sul principio di precauzione».
Ma la diffusione di Pfas riguarda tutto il territorio nazionale, come ribadisce la relazione, e in particolare le regioni del bacino del Po e dell’Arno per le numerose attività che utilizzano le molecole. Le Arpa regionali si sono attivate solo nel 2017 e, nel caso di Lazio e Toscana, hanno fatto controlli solo su nove e sei sostanze (anziché sulle dodici canoniche); nessuna ha cercato il cC6O4.
Il governo Draghi, e in particolare il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani, se il loro mandato durerà oltre il voto per il Quirinale, dovranno mettere urgentemente mano a una materia su cui gli esecutivi Letta, Renzi, Gentiloni e i due Conte, hanno latitato.