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Decreto sicurezza. Dopo Toscana e Calabria, altre Regioni fanno ricorso alla Consulta

I.Sol. lunedì 7 gennaio 2019

(Foto Ansa d'archivio)

Dopo la Toscana e la Calabria, altre regioni governate dal centrosinistra – fra cui Piemonte, Umbria, Basilicata ed Emilia-Romagna – stanno ipotizzando di ricorrere contro il cosiddetto “decreto sicurezza” alla Corte Costituzionale.

Stando all'articolo 127 della Costituzione, una regione può fare ricorso diretto alla Corte Costituzionale «quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza […] entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge» hanno deciso di impugnare il Decreto Sicurezza davanti alla Corte Costituzionale.

I governi regionali ritengono che il decreto sicurezza impedisca loro di garantire appieno la salute degli stranieri interessati dal decreto. Da qualche giorno se ne parla soprattutto perché l’articolo 13 del decreto sospende l’iscrizione al registro dell’anagrafe per i richiedenti asilo, cosa che può escluderli da alcuni trattamenti sanitari.

DOPO LA TOSCANA, PRONTI I RICORSI ANCHE DI UMBRIA, PIEMONTE E BASILICA ALLA CONSULTA

Per il ricorso contro il decreto sicurezza il primo a prendere posizione è stato il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, confermando il pieno sostegno alla protesta dei sindaci che, dice, «fanno bene a ribellarsi a una legge disumana che mette sulla strada, allo sbando, decine di migliaia di persone che così diventano facile preda dello sfruttamento brutale e della criminalità organizzata, aumentando l'insicurezza».

«Noi come Regioni non facciamo disobbedienza civile, ma esercitiamo una competenza per chiarire l'articolo 13» del decreto sicurezza «che ostacola il funzionamento dei servizi sociali e della sanità che ci compete». «Il decreto sicurezza accresce il numero degli irregolari», ha spiegato meglio Rossi. «Se i bambini non sono iscritti alla anagrafe è più difficile fare le vaccinazioni. Pertanto noi come Regioni esercitiamo una prerogativa, quella di chiedere un chiarimento sulle nostre competenze regionali di assistenza sociale».

Anche Piemonte e Basilicata presenteranno ricorso contro il decreto sicurezza. "Ho avuto conferma dalla nostra avvocatura - ha spiegato il presidente Roberto Chiamparino - che su questo si sta anche confrontando con i colleghi della Regione Toscana, che esistono le condizioni giuridiche per il ricorso alla Consulta perché il decreto impedendo il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari, avrà ripercussioni sulla gestione dei servizi sanitari e assistenziali di nostra competenza".

"Oggi pomeriggio abbiamo una riunione di giunta con all'ordine del giorno il decreto sicurezza - afferma la vicepresidente della
Regione Flavia Franconi - Iniziamo una discussione per capire cosa fare. Valuteremo, sentendo anche i nostri avvocati, per capire che speranza c'è nel fare ricorso". "Il decreto è complesso - conclude Franconi - vogliamo prendere una decisione ragionata".
La Regione Umbria pure ricorre alla Corte costituzionale contro il decreto sicurezza. È stato deciso nel corso della seduta odierna della giunta regionale, dopo che la presidente Catiuscia Marini già nei giorni scorsi aveva annunciato di valutare il ricorso alla Consulta. L'azione decisa, fa sapere la governatrice, è nel segno di una "tradizione millenaria di civiltà del popolo umbro, improntata ai principi di convivenza pacifica e solidarietà, sempre vicina a chi ne ha bisogno. Questa è la terra di San Francesco e San Benedetto - ha aggiunto Marini - è la terra della spiritualità che si è fatta accoglienza. Ai nostri valori ispirati alla Carta Costituzionale e alle convenzioni internazionali di salvaguardia dei diritti dell'uomo non rinunciamo".

"Mi sto facendo mandare il dati sul numero di cittadini umbri, piemontesi e toscani che aspettano una casa popolare. Mi fa specie che, invece di dare la casa ai cittadini italiani le Regioni si preoccupino di migranti", ha commentato in modo provocatorio il ministro dell'Interno Matteo Salvini, in merito ai ricorsi annunciati contro la legge sulla sicurezza dalle Regioni. "Non vedo l'ora - ha aggiunto il titolare del Viminale - che se ne occupi la Consulta. Sono certo che passerà l'esame. Mi fa poi specie l'ignoranza del governatore del Lazio: il diritto alla salute è garantito a tutti".


ASGI: AL CENTRO DEI RICORSI IL DIRITTO ALL'ISCRIZIONE ANAGRAFICA

Lo scontro non è più solo tra i sindaci di centro sinistra e alcune regioni che hanno scelto di fare ricorso contro il decreto sicurezza. Ben presto arriveranno i ricorsi, nei tribunali di Milano e Bologna anche da parte di richiedenti asilo che si sono visti negare la residenza anagrafica (e quindi, concretamente, il rilascio della carta d'identità) a seguito dell'articolo 13 del decreto sicurezza, convertito nella legge 132 del 2018 dal Parlamento. Lo ha annunciato l'Associazione studi giuridici sull'immigrazione (Asgi). L'obiettivo dei richiedenti asilo e di Asgi è di «portare davanti alla magistratura la questione con richiesta di rinvio alla Corte Costituzionale che confidiamo sarà dunque presto chiamata a pronunciarsi sul punto».
L'articolo 13 infatti prevede che il permesso di soggiorno rilasciato ai richiedenti asilo «non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica». E a scanso di equivoci, il ministero dell'Interno ha anche emanato una circolare il 18 ottobre 2018 (firmata dal direttore centrale Polichetti) in cui si ribadisce il concetto: «Pertanto, dall'entrata in vigore delle nuove disposizioni il permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale non potrà consentire l'iscrizione anagrafica».

Nello stesso decreto, si prevede anche che i servizi assistenziali, sociali e sanitari saranno comunque garantiti nel luogo di domicilio del richiedente asilo. Il Viminale ha pubblicato on line una guida con le principali Faq al decreto sicurezza. E sulla questione della residenza anagrafica scrive: "Al richiedente asilo - pur non essendo più iscritto all'anagrafe della popolazione residente in base alle nuove norme - continuano a essere assicurati gli stessi servizi di accoglienza e di assistenza, le cure mediche e i servizi scolastici per i minori. Si tratta, in concreto, di circa 98.000 richiedenti asilo – numero che si conta di assorbire entro l’anno grazie alla notevole riduzione dei flussi di ingresso incontrollato e alle iniziative di velocizzazione delle procedure di riconoscimento – a fronte dei circa 4 milioni e mezzo di stranieri regolarmente residenti ad altro titolo, che possono essere iscritti all'anagrafe. Al termine dell’iter procedurale connesso all'istanza di asilo e a seguito del riconoscimento di una forma di protezione, lo straniero potrà essere regolarmente iscritto all'anagrafe, avendo una prospettiva stabile di presenza sul territorio". Il Viminale spiega anche il motivo per cui si è voluto togliere ai richiedenti asilo il diritto all'iscrizione anagrafica: "Già più volte in passato, anche per il tramite delle proprie associazioni rappresentative, svariati Comuni - specie quelli di piccole dimensioni che si sono trovati a ospitare per lunghi periodi centri di accoglienza di grandi dimensioni - avevano posto la questione connessa all'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo. L’eccessivo numero di richiedenti asilo in strutture di accoglienza ubicate in piccoli centri - e il turn over che ne è derivato nelle relative presenze - ha, infatti, spesso determinato un sovraccarico di lavoro per gli uffici anagrafe dei Comuni interessati, specie di quelli con poche unità di personale in servizio rispetto alle effettive necessità operative". La ratio di una norma, che potrebbe essere anticostituzionale, è tutta qui: alcuni comuni hanno dovuto rilasciare troppe carte d'identità.

Asgi ritiene che "non sussista alcuna ragione giustificatrice – sotto il profilo dell'art. 3 Cost. - di una diversità di trattamento nell'iscrizione anagrafica che colpisce una sola categoria di stranieri legalmente soggiornanti (i titolari di permesso di soggiorno per richiesta di asilo, appunto), violando il principio di parità di trattamento coi cittadini italiani prevista dall'art. 6 d. lgs. n. 286/1998 per gli altri stranieri regolarmente soggiornanti. Tale discriminazione non solo nega ad essi il diritto di essere parte a pieno titolo di una comunità locale, ma anche rende per loro estremamente difficile l'accesso a quei rapporti privati (si pensi alla assunzione presso un datore di lavoro in assenza del tradizionale documento di riconoscimento sul quale normalmente un datore di lavoro fa affidamento, cioè la carta di identità) e a quei servizi pubblici che sino ad oggi sono stati erogati sulla base della residenza come accertata dalla iscrizione anagrafica".

Ammesso che tutti i comuni garantiranno i servizi (come prescrive lo stesso decreto sicurezza), la mancanza della carta d'identità rischia di rendere la vita difficile ai richiedenti asilo nel momento in cui trovano un lavoro o devono aprire un conto in banca. "A tre mesi dall'entrata in vigore del decreto e nonostante la chiarezza della disposizione - scrive Asgi in una nota -, i richiedenti asilo continuano infatti ad essere ostacolati sia nell'esercizio di molti diritti fondamentali sia anche nell'accesso a servizi essenziali perché, pur nella titolarità di un permesso di soggiorno, sono privi di residenza. Impedire di fatto l'iscrizione ai centri per l'impiego o l'apertura di un conto in banca o ancora l'iscrizione del figlio alla scuola dell'infanzia o all'asilo nido finisce col diventare una forma di discriminazione ideologica nei confronti dei soli richiedenti asilo che non ha nulla a che vedere con la sicurezza".