Con un dossier di duemila pagine sotto il braccio, gli inquirenti egiziani sono arrivati a Roma per una due giorni di incontri con magistrati e investigatori italiani chiamati a valutare se l'Egitto sta facendo tutto il
possibile per scoprire chi ha torturato a morte Giulio Regeni.
E, come ha sottolineato il premier Matteo Renzi, accanto ai
magistrati c'è la "determinazione" di tutta l'Italia.
Poco prima delle 10 è iniziato il vertice tra gli
inquirenti e gli investigatori di Italia ed Egitto che indagano
sulla morte del giovane ricercatore. All'incontro, alla scuola Superiore di
Polizia a Roma, partecipano per l'Italia il procuratore di Roma,
Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco, direttore
dello Sco Renato Cortese e il comandante del Ros Giuseppe
Governale. Per l'Egitto sono invece presenti due magistrati, il
procuratore generale aggiunto del Cairo, Mostafa Soliman e il
procuratore dell'Ufficio di Cooperazione internazionale Mohamed
Hamdi el Sayed. Presenti anche tre ufficiali di polizia: il
generale Adel Gaffar della National Security, il brigadiere
generale Alal Abdel Megid dei servizi centrali della polizia
egiziana e Mostafa Meabed, vicedirettore della polizia criminale
del governatorato del Cairo.
Renzi: vogliamo la verità. "Siamo impegnati a che su Regeni non sia una verità di comodo
ma la verità. Aspettiamo che i magistrati facciano i loro
incontri: noi siamo pronti a seguire quel lavoro con grandissima
determinazione", ha detto ieri Renzi in un forum al Mattino di
Napoli. Il premier ha avvertito che da parte dell'Italia non
sarà accettato alcun "tentativo di svicolare rispetto alla
verità", la quale è "dovuta" alla famiglia di Regeni ma anche
all'Italia e ai suoi storici rapporti con l'Egitto.
Del resto, come noto, Roma è un partner strategico per il
Cairo e fonte di circa sei miliardi di dollari di investimenti
l'anno, concentrati su settori prioritari come quello
dell'energia. E, assieme alla Germania, l'Italia è il principale
partner commerciale europeo dell'Egitto. Un legame geopolitico
ed economico che renderebbe ancora più clamorose le mail anonime
inviate a "La Repubblica" da un presunto elemento della polizia
segreta egiziana secondo il quale nella morte del giovane
ricercatore friulano sarebbe coinvolto direttamente il
presidente Abdel Fattah Al Sisi. L'ex generale egiziano infatti
resta al momento uno dei principali danneggiati da una vicenda
che gli sta alienando un grande alleato (l'Italia) proprio
mentre appare sotto pressione da parte degli Usa e di poteri
interni o esterni agli apparati egiziani.
La sorte della relazione tra Italia e Egitto è comunque in
mano alla Procura di Roma. "Lasciamo che lavorino i magistrati e
alla fine vedremo se hanno raggiunto l'obiettivo della verità o
no", ha esortato Renzi dopo che il ministro degli Esteri Paolo
Gentiloni ieri aveva sottolineato che sarà la Procura della
Repubblica a valutare se c'è stato un "cambio di marcia"
rispetto alla collaborazione "generica e insufficiente"
dimostrata finora dalle autorità egiziane o se invece dovranno
scattare le "misure immediate e proporzionali" contro il Cairo.
Indagini su 200 persone. Indiscrezioni sul dossier che la delegazione guidata dal
procuratore generale aggiunto egiziano Mostafa Soliman presenta
a Roma segnalano i risultati delle indagini su "200 persone" che
hanno avuto rapporti con Regeni, ma l'Italia, a oltre due mesi
dal ritrovamento del cadavere del ragazzo, vuole immagini video,
tabulati telefonici, referti e verbali. Gli
incontri di oggi e venerdì serviranno "per fare il punto"
della situazione delle indagini. A Roma non è invece arrivato Khaled Shalabi, il generale della Sicurezza nazionale incaricato delle indagini pur essendo già stato condannato nel 2003 per aver torturato a morte un uomo: secondo alcune fonti sarebbe lui il
'capro espiatoriò che l'Egitto starebbe per sacrificare
sull'altare dei rapporti con l'Italia.