5 anni fa al Cairo. Omicidio Regeni, al via il processo agli agenti segreti egiziani
Il percorso che ha portato fin qui è stato lungo, tortuoso a livello investigativo e giudiziario, ma soprattutto doloroso per la famiglia Regeni, che dopo cinque anni e otto mesi dall’uccisione del figlio Giulio in Egitto, a febbraio 2016, aspetta la verità sulla morte violenta del ricercatore italiano. Si apre infatti oggi il processo a carico dei quattro 007 del Cairo accusati di sequestro di persona e omicidio pluriaggravato del giovane friulano, ma la terza sezione delle Corte d’Assise si troverà subito a gestire una questione di procedibilità.
Perché in udienza si dovrà affrontare il nodo dell’assenza in aula degli imputati (l’Egitto non ha fornito nessun loro indirizzo): il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. I giudici in sostanza dovranno valutare, così come già fatto dal gup nell’ambito dell’udienza preliminare, se i quattro imputati siano o meno dei "finti inconsapevoli" del processo a loro carico. In tal senso il processo potrà andare avanti con i quattro in contumacia, altrimenti i giudici potrebbero chiedere una sospensione del procedimento. Il gup, su questo punto, aveva affermato nel decidere per il rinvio a giudizio che «la copertura mediatica capillare e straordinaria ha fatto assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio».
Ma oggi nell’aula bunker di Rebibbia – secondo indiscrezioni di stampa – Palazzo Chigi dovrebbe costituirsi parte civile. Una presenza dello Stato che la famiglia ha sempre chiesto e che oggi potrebbe concretizzarsi in Aula. Nella lista testimoni presentata dai genitori di Giulio, Paola e Claudio, inoltre ci sono anche i presidenti del Consiglio che si sono succeduti in Italia dal 2016 (Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi), oltre che ministri degli Esteri e i sottosegretari con la delega ai servizi segreti.
Alla vigilia dell’udienza, mentre risuonano le parole del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi al vertice dei Paesi del gruppo Visegrad a Budapest per cui Il Cairo non accetterà «nessun diktat europeo sui diritti umani», dal presidente della Camera Roberto Fico arriva un appello a ricercare la verità dopo anni di «depistaggi e resistenze di ogni tipo da parte dell’Egitto». In un giorno «carico di significato» come quello di oggi, il responsabile di Montecitorio perciò invita a «restare tutti uniti, istituzioni e comunità, per la ricerca di questa verità». Giulio venne rapito la sera del 25 gennaio 2016 e il suo corpo martoriato fu trovato nove giorni dopo lungo la strada che collega Alessandria al Cairo. E poco si sa di più.
Verità per Giulio Regeni che appare avvolta nell’oblio dall’altro lato del Mediterraneo dove sostanzialmente dal giugno scorso, quando ci fu la trasmissione all’Italia delle inchieste del Cairo, incluso l’esito negativo di una rogatoria in Kenya.
Maggiore evidenza, anche sul sito del principale quotidiano egiziano, al-Ahram, era stata data invece alla chiusura delle indagini da parte egiziana annunciata dalla procura generale del Cairo il 30 dicembre: la tesi cui erano giunti gli inquirenti era che Regeni fu soltanto monitorato, e non rapito e tanto meno ucciso, dai servizi segreti egiziani. Gli apparati se ne sarebbero disinteressati senza disporre «alcuna misura giudiziaria» nei suoi confronti quando capirono che il suo comportamento – pur «non conforme alla ricerca» scientifica (questa l’espressione usata dalla procura) – non rappresentava un pericolo per la sicurezza del Paese. In sostanza, quelli che per l’Italia sono imputati per l’Egitto sarebbero dunque solo pedinatori e quindi «non c’è ragione» di intentare un processo contro di loro, sostenne allora la procura.