Referendum. Giustizia, dalla Consulta 5 sì e un no. Bocciato quesito su cannabis
Ammessi 4 referendum sulla giustizia
Dopo la decisione di ieri sull'inammissibilità del referendum sulla depenalizzazione del cosiddetto "omicidio del consenziente", oggi la Corte costituzionale ha proseguito in Camera di consiglio l’esame sull’ammissibilità degli altri 7 quesiti, iniziato ieri. Alle 18, terminata la camera di consiglio della Corte costituzionale, si è tenuta una conferenza stampa del presidente Giuliano Amato. In attesa del deposito delle sentenze, previsto nei prossimi giorni, stamani la Consulta ha ritenuto ammissibili 4 quesiti referendari, "perché le rispettive richieste non rientrano in alcuna delle ipotesi per le quali l’ordinamento costituzionale esclude il ricorso all’istituto referendario". Nel pomeriggio, come ha reso noto lo stesso presidente Amato, in materia di giustizia la Consulta ha ammesso un altro quesito e ne ha bocciati due. «Non è mai stato necessario votare - ha spiegato Amato - in alcuni casi l'orientamento è stato unanime, in altri prevalente». Ad essere ammesso è stato il referendum che punta a far riconoscere nei consigli giudiziari il diritto di voto degli avvocati sulle valutazioni di professionalità dei magistrati, mentre è stato dichiarato inammissibile quello sulla responsabilità civile diretta dei magistrati. Infine rispetto all'ultimo referendum, che puntava alla depenalizzazione della coltivazione della cannabis, la Corte ha deciso per la bocciatura, perché non idoneo allo scopo anche sulla base di un clamoroso errore commesso dai proponenti, che avrebbero citato la tabella sbagliata della normativa sulle droghe, non menzionando invece quella in cui è inclusa la cannabis. Lo ha precisato ancora il presidente Amato: «Il referendum non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti - ha detto -. Si faceva riferimento a sostanze che includono papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali».
LEGGE SEVERINO E INCANDIDABILITÀ
Il primo riguarda l'abrogazione delle disposizioni in materia di incandidabilità. Si tratta di uno dei sei referendum sulla giustizia, promossi dal partito radicale, dalla Lega di Salvini e da nove consigli regionali, che punta a cancellare la legge Severino. La norma prevede la decadenza o l'incandidabilità di chi ha avuto una condanna definitiva per una serie di reati gravi contro la pubblica amministrazione. Il punto sul quale è stata più spesso attaccata è quello del regime più rigoroso previsto per gli eletti e gli amministratori locali, che non sono eleggibili o sono dichiarati decaduti anche in caso di condanna in primo grado. Nel caso di vittoria dei sì, tornerebbe a vivere la legislazione precedente in base alla quale l’interdizione dai pubblici uffici è una pena accessoria decisa eventualmente dal giudice.
MISURE CAUTELARI
Sì anche al referendum sulla limitazione delle misure cautelari. Ha l’obiettivo di limitare i casi in cui è possibile disporre la custodia cautelare, cioè la detenzione di un indagato o imputato prima della sentenza definitiva. Rimarrebbe possibile arrestare una persona prima che sia riconosciuta colpevole nei casi di: rischio di fuga o inquinamento della prova e rischio di commettere un reato di particolare gravità "con uso di armi o altri mezzi di violenza personale".
SEPARAZIONE DELLE FUNZIONI DEI MAGISTRATI
Il terzo sì della Consulta è per il referendum sulla separazione delle funzioni dei magistrati.
Secondo l’ordinamento italiano, pm e giudici condividono la stessa carriera e si distinguono solo per funzioni. Il referendum punta a rendere definitiva la scelta, all’inizio della carriera, di una o dell’altra funzione. Nel 2000 la Corte corresse il titolo del referendum: da «separazione della carriere» a «separazione delle funzioni». Ma il referendum fallì lo stesso perché non fu raggiunto il quorum minimo di partecipazione.
"PRESENTATORI" DELLE LISTE TOGATE PER IL CSM
Il quarto semaforo verde è arrivato per il quesito sull'eliminazione delle liste di "presentatori" per l’elezione dei togati del Csm. Riguarda le norme che regolano l’elezione della componente togata nel Consiglio superiore della magistratura. Si chiede la cancellazione dell'obbligo di 25 firme di magistrati per proporre una candidatura. Per questa via i promotori hanno immaginato di limitare il peso delle correnti all’interno del Csm. Questo quesito va a toccare una materia che è adesso compresa negli emendamenti della ministra Cartabia arrivati alla Camera dei deputati: la nuova proposta di riforma prevede le candidature individuali, senza necessità di alcuna firma, e cambia la legge elettorale per il Csm.
VALUTAZIONI SULLA PROFESSIONALITÀ DELLE TOGHE
Il quesito ammesso riguarda le valutazioni sulla professionalità dei magistrati, con un doppio intervento abrogativo su una legge del 2006 che punta a consentire la piena partecipazione degli avvocati alle decisioni del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari regionali. Gli avvocati potrebbero dunque valutare la professionalità di pm e i giudici. Anche questo referendum va a toccare una materia trattata dalla riforma dell’ordinamento giudiziario proposta dalla Cartabia, secondo la quale gli avvocati potranno esprimere il loro voto nei Consigli giudiziari ma non a titolo personale, bensì riportando la valutazione che il consiglio territoriale degli avvocati ha eventualmente già espresso.
RESPONSABILITA' CIVILE DIRETTA DEI MAGISTRATI
«Abbiamo dichiarato inammissibile il referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati. Perché, essendo fondamentalmente sempre stata la regola per i magistrati quella della responsabilità indiretta, la introduzione di quella diretta avrebbe reso il referendum più che semplicemente abrogativo», ha chiarito il presidente Amato, menzionando una questione lungamente dibattuta: se ammesso, e se sostenuto dal sì della maggioranza dei votanti, il referendum avrebbe richiesto un successivo intervento legislativo.
CANNABIS LEGALE PER USO PERSONALE
Come detto, infine, non è stato ammesso l'ultimo referendum, che intendeva togliere dal circuito penale chi coltiva per uso personale la cannabis. Sarebbero rimasti illegali lo spaccio, la fabbricazione, l’estrazione e la raffinazione di stupefacenti. Il questito avrebbe anche puntato a eliminare la sospensione della patente come sanzione amministrativa per chi detiene una piccola quantità di cannabis per uso personale, ma lasciando che la guida sotto effetto di Thc fosse ancora sanzionata penalmente.