Lavoro. Rossini (Acli): così vanno cambiati i centri per l’impiego
Provare a ricomporre le due fratture della società italiana, quella generazionale e quella economica e sociale ripartendo dalle periferie e animando le città. E senza pudori nell’affrontare la questione più divisiva e strumentalizzata, i migranti. La stagione delle Acli riparte da Trieste, dove da giovedì 13 a sabato 15 si daranno appuntamento 500 dirigenti per il tradizionale incontro nazionale, l’appuntamento annuale con cui le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani indicano la direzione. Prevista la partecipazione di tre esponenti dell’opposizione – Graziano Delrio, Mariastella Gelmini e Roberto Speranza – e del premier Giuseppe Conte, cui le Acli porteranno alcune proposte di legge in tema di formazione lavoro, previdenza e fisco. Con il presidente aclista Roberto Rossini, bresciano, classe 1964, docente di diritto e metodologia della ricerca sociale, partiamo dal tema dei migranti. «Che non sono un’emergenza – premette –. Lo ripetiamo da 20 anni. Forse è il caso di uscire dalla logica emergenziale ed entrare in quella dell’opportunità».
Quale sarebbe?
Mi pare ci siano fenomeni demografici e legati al mondo del lavoro che, se gestiti in modo intelligente, consentirebbero di cogliere il tema come opportunità. L’alternativa è coglierlo solo nel suo aspetto problematico ed enfatizzarlo, ma questo allontana le occasioni di inclusione, che è un grande tema, rischiando di risvegliare parole d’ordine sbagliate. Bisogna essere netti sui diritti umani e realisti. Verrebbe da usare una frase manzoniana: occorrono cure e destrezza. Abbiamo a che fare con esseri umani di cui dobbiamo prenderci cura, la destrezza sta nel gestire un fenomeno che c’è dalla storia del mondo. A me pare che emerga solo il lato problematico, strumentalizzato per ottenere consensi.
«Prima gli italiani» è lo slogan di chi strumentalizza. Per le Acli, che si occupano di problemi sociali sin dalla fondazione, che senso ha?
Ovviamente nessuno. Siamo tutti uguali e tutti figli di Dio, ogni essere umano è tale senza distinzioni. Facciamo da sempre politiche per gli italiani, la stragrande maggioranza: scuola, sanità, previdenza, assistenza, infrastrutture. Si tratta di capire come l’immigrazione possa essere fenomeno coerente con quel che facciamo da tempo.
Che ruolo ha un’organizzazione del terzo settore in questo Paese che si trova lacerato e conflittuale?
Occorre recuperare la dimensione sana dell’idea di fraternità e comunità. Il terzo settore sotto questo profilo credo abbia principi e prassi inclusive che fanno comunità, soprattutto con le fasce sociali più deboli: carcerati, stranieri, disabili, famiglie in difficoltà, bambini poveri. Il terzo settore è sempre stato attento a sviluppare attenzione e anche imprenditorialità sociale senza fare affari. È riuscito a creare posti di lavoro dimostrando come i problemi possono diventare opportunità e strumenti utili alla comunità.
A Trieste verrà presentata la ricerca sulle diverse Italie, ne sono state rilevate cinque, che hanno votato. Cosa presenta questa fotografia?
Un Paese spaccato con esigenze differenti a seconda dei territori. Diventa ovvio pensare non ci sia una risposta unica, vanno differenziate a seconda delle aree. La faglia territoriale si è saldata con quella generazionale, per cui dai dati sulla povertà si vede una situazione inversamente proporzionale all’età. Più sei anziano meno sei povero, più sei giovane più sei a rischio povertà. Possiamo prendere provvedimenti simbolici importanti, ma bisogna anche mettere in atto politiche strutturali sul lavoro, sull’assistenza, la previdenza e la formazione. Sulla povertà una politica strutturale c’è: è il reddito di inclusione.
Quali proposte di legge presenterete al premier Conte?
Riguardano previdenza, formazione lavoro e centri per l’impiego. Abbiamo invitato a Trieste il capo del governo e l’opposizione perché vogliamo far conoscere le nostre proposte e ribadire che uno dei nostri assi portanti è l’Europa. Crediamo che oggi sia questa la grande questione politica.
Che Europa vogliono le Acli?
L’Europa è una costruzione importantissima, ma parziale. Va riempita di contenuti sociali. Chiediamo perciò un’Europa più attenta al sociale, per noi è la strada coerente con la storia italiana che non possiamo tradire. Vorremmo ripresentare l’antica idea del sussidio europeo contro la disoccupazione che consentirebbe all’Ue di assumere una dimensione sociale più spinta rispetto a quella attuale.
LA PROPOSTA
Le Acli presenteranno all’incontro di studi triestino una proposta di riforma dei centri per l’impiego. Ai quali mancherebbero gli strumenti adatti a fronteggiare le sfide di un mercato del lavoro in continua evoluzione. Al contrario gli operatori privati, come le Agenzie del Lavoro e gli altri soggetti privati accreditati, secondo le Acli contribuiscono in molte Regioni a garantire i Livelli essenziali di prestazione (Lep), servizi essenziali per mettere un cittadino in grado di cercarsi un lavoro dignitoso. Il Governo ha già previsto una norma nella legge di conversione del decreto dignità che prevede, per il triennio 2019-2021, la destinazione di una quota delle facoltà delle Regioni al rafforzamento degli organici dei centri per l’impiego. Ma per le Acli la riforma rischia di non produrre gli effetti desiderati visto che le criticità di queste strutture pubbliche non derivano solo dalla mancanza di personale. Si propone quindi una serie di investimenti per informatizzare i centri, rendendoli interconnessi con altre banche dati. In seconda battuta, accanto a nuove assunzioni, si punta su una formazione specializzata del personale. La terza linea strategica è quella di creare connessioni con gli operatori privati accreditati per la formazione professionale.