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Ue. Recovery fund, Berlino insiste sull'intesa a 27. Orbán prepara l'addio al Ppe

Gianni Santamaria mercoledì 9 dicembre 2020

La cancelliera tedesca Angela Merkel punta all'intesa a 27 sul Recovery fund, ma non sarà facile e il tempo stringe

Continua il braccio di ferro europeo tra i 25 Paesi che aderiscono alla bozza di accordo per il Next generation Eu, e il duo Polonia-Ungheria, che invece vi si oppone. È appena dell’altro ieri il pressing della Germania, presidente di turno dell’Ue, sui due Paesi, con la richiesta di chiarire la propria linea entro oggi, vigilia del Consiglio europeo di domani e dopodomani a Bruxelles.

Altrimenti prenderà sempre più corpo l’ipotesi di un "piano B", che prevede l’approvazione del testo a 25. Strada che, pur fattibile per il principio della cooperazione rafforzata, presenta però profili problematici dal punto di vista tecnico. Per cui il pungolo è stato reiterato ieri dal ministro per gli Affari europei di Berlino, Michael Roth, che prima ha premuto sull’acceleratore dicendo che «sarebbe irresponsabile ritardare ulteriormente», poi ha promesso comunque l’impegno tedesco per una soluzione a 27 fino al 31 dicembre.

L’esito negativo della vicenda potrebbe avere ripercussioni sull’intera Europa, visto che al Recovery fund (il sostegno ai Paesi più colpiti dalla pandemia, contenuto nel Next Generation) è collegata anche l’approvazione del Quadro finanziario pluriennale dell’Unione: c’è quindi il rischio di finire nel cosiddetto "esercizio provvisorio".

Ma anche, a livello politico, sul Partito popolare europeo, ormai ai ferri corti con Viktor Orbán. Il primo ministro ungherese ieri ha indirizzato una lettera aperta al capogruppo del Ppe, Manfred Weber, in cui ribadisce che sussistono «differenze di interessi e problemi di comunicazione» fra gli eurodeputati del suo partito, Fidesz, e la presidenza del gruppo. Per cui bisogna istituire in futuro rapporti più slegati. E siccome il partito magiaro è sospeso già da due anni, molti interpretano la mossa come l’anticamera di una fuoriuscita dal Ppe.

Era stato proprio Weber a ribadire ieri che non c’è intenzione di rinegoziare l’accordo raggiunto a luglio tra Parlamento, Commissione e Consiglio Ue e che «dobbiamo a questo punto sostenere un piano B a 25, l’idea di Ursula von der Leyen, che è una opzione sul tavolo anche se nessuno la vuole, ed è un chiaro segnale per i nostri partner».

Weber sostiene poi che la clausola sullo Stato di diritto contenuta intende sostenere «uno dei nostri principi fondanti» e non va intesa contro singoli Stati. È proprio questo il punto che Varsavia e Budapest non accettano, anzi giudicano ricattatorio.

La presidenza tedesca del Consiglio Ue assicura «massimi sforzi per raggiungere una situazione che possa essere accettata da tutti i 27 Paesi», ma «sullo Stato di diritto non ci possono essere cambiamenti», ha ribadito a Bruxelles il ministro degli Affari europei tedesco Michael Roth. La soluzione sarà, comunque, cercata «fino all’ultimo minuto della mezzanotte del 31 dicembre». Poche ore prima Roth era stato più incalzante, auspicando che il Recovery Fund, «strumento di sostegno essenziale per i nostri cittadini», venga sbloccato «rapidamente».

Sullo Stato di diritto le distanze restano, però, nette. Per il premier polacco Mateusz Morawiecki, intervistato da La Stampa, dietro il meccanismo di sanzioni ci sarebbero «decisioni politiche arbitrarie». Esso inoltre porterebbe ad «animosità» tra gli Stati e aprirebbe la porta a «interpretazioni pericolose». Insomma i due Paesi dell’Est tengono il punto. Orban si è recato ieri sera a Varsavia per dei colloqui alla vigilia dell’atteso vertice europeo.