In Italia, al 1 gennaio 2010, si stimano 5.101.000 immigrati; 544.000 sono irregolari, ossia il 10,7%. Sono gli ultimi dati della Caritas italiana presentati a Valderice (Trapani) nella seconda giornata di lavori del Migramed Forum-2010, l’iniziativa organizzata da Caritas italiana, in cui si sottolinea in particolare che nell'ultimo anno la clandestinità ha registrato 126.000 irregolari in più.L'aumento dei clandestini - ha spiegato Oliviero Forti, responsabile Immigrazione della Caritas - ha a che vedere in particolare con persone che erano in condizioni di regolarità e che, anche a causa della crisi economica, si è trovato in una nuova condizione nei confronti dello Stato italiano. "Sappiamo - ha precisato Forti - che ci sono intere famiglie che a seguito di queste nuove condizioni anche per motivi economici stanno ridefinendo la propria vita e stanno magari pensando di ritornare nel loro paese".La Caritas ha tracciato anche l'identikit degli irregolari. Nel 61,5% dei casi sono maschi e mediamente sono in Italia da 3 anni e mezzo. Tra i principali paesi di provenienza c'è il Marocco (93 mila), l'Albania (70 mila), l'Ucraina (37 mila), la Cina (32 mila), la Tunisia (25 mila). Il 43,3% di essi lavora in nero ma ha un'occupazione stabile continuativa, il 33,8% è disoccupato, il 4,8% è dipendente a tempo determinato, mentre il 2,7% svolge un'attività autonoma.
Mogavero. Nello stesso occasione mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo si espresso in toni severi: «Non possiamo assolutamente dare copertura ad atteggiamenti di rifiuto o di larvato razzismo e xenofobia che emergono qua e là anche nella comunità ecclesiale», occorre invece «accoglienza, dialogo, proposte»: un invito ad «uscire dal silenzio e dalla neutralità». Mogavero ha precisato di parlare «a titolo personale, quindi né a nome della Cei, né a nome della Conferenza episcopale siciliana». «I famosi e deprecati respingimenti nel Mediterraneo – ha messo in evidenza mons. Mogavero - riguardano gli immigrati che si trovano in situazione di maggiore debolezza. E’ facile respingere i barconi e "sparare", in senso metaforico, agli immigrati. Non è altrettanto facile porre un freno ed una disciplina all’80% dell’immigrazione irregolare che sfugge al controllo ufficiale».
Romeo. Dello stesso avviso anche l'intervento mons. Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo e presidente della Conferenza episcopale siciliana: «La politica dei respingimenti nel Mar Mediterraneo manca di dimensione umana, prima ancora che di dimensione cristiana: si scaricano su questi poveri che arrivano sui barconi tutte le politiche per contenere l’immigrazione illegale». Secondo mons. Romeo «né con misure di legge, né con imposizioni della polizia si possono portare le persone a riconoscere Dio nell’altro». «Si dice che il flusso migratorio si sia fermato, ma forse non è così – ha osservato l’arcivescovo di Palermo -. Tutte le diocesi siciliane sono da sempre impegnate nell’accoglienza degli immigrati. Crediamo che se una società è capace di rispettare e di inculcare il rispetto umano, anche gli immigrati possono essere interessati alla nostra fede. Ecco la grande responsabilità che abbiamo».Dal meridione «l'emigrazione verso il nord del paese è ripresa alla grande. Solo in Sicilia si parla di 60 mila persone che sono andate in altre città per cercare lavoro. Sono soprattutto giovani precari». Denuncia di Romeo. Il vescovo ha parlato di una situazione molto grave nelle regioni meridionali, «c'è un gap difficile da colmare e la nostra classe politica è inadeguata, anche per conseguenze del passato».
I nuovi emigrati. Fra i nuovi migranti, monsignor Romeo dice che ci sono infermieri, medici, metalmeccanici che emigrano al nord perchè non trovano un posto di lavoro e hanno vissuto anni e anni di precariato. «Noi li vediamo ogni giorno - ha precisato - vengono genitori che dicono mio figlio parte. Nelle nostre zone non c'è avvenire. Solo nell'area di Palermo, ad esempio ha chiuso la Fiat e l'Italtel. Ed è ovvio che chi si è specializzato in metalmeccanica difficilmente troverà alternative. La Fiat si arrende ma non perchè costa cara la produzione ma perchè non ci sono le infrastrutture e su questo siamo fermi da vent'anni».