Rappresentano l'8 per cento della popolazione, lavorano ma guadagnano meno degli italiani, contribuiscono alla ricchezza del paese. Sono i "Migranti, attori di sviluppo", secondo il ventiquattresimo rapporto Immigrazione di Caritas e Migrantes presentato oggi a Milano al Conference Centre di Expo. Gli stranieri in Italia, nel corso del 2014, hanno prodotto l'8,8% della ricchezza nazionale, per una cifra complessiva di oltre 123 miliardi di euro. Per fermarsi solo ad un dato concre to fornito sempre dall'Istat, mentre la retribuzione netta media mensile dichiarata dagli occupatiitaliani è di 1.326 euro, quella relativa ai cittadini comunitari scende a 993 euro, per scendere ulteriormente a 942 euro per i cittadini non comunitari.Persone attive, propositive, in grado di
contribuire alla crescita del paese. Sono i "Migranti, attori di
sviluppo", secondo il ventiquattresimo rapporto Immigrazione. Il più delle volte si sente parlare e si descrivono i
migranti come "quelli che chiedono", "gente a cui dare", poichè
"in stato di bisogno". Dall'esperienza maturata in tanti anni di
servizio, Caritas e Migrantes, nelle pagine del rapporto, hanno
voluto invertire la prospettiva e raccontare quanto invece
l'Italia e gli italiani ricevono dai migranti.
Dalla descrizione della mobilità internazionale, il documento
passa a quella nazionale. "La storia dell'immigrazione italiana -
osservano Caritas e Migrantes - è caratterizzata da una continua
e costante interpretazione negativa ed emergenziale del fenomeno,
come a rifiutare gli ultimi quarant'anni di storia scritta
inevitabilmente insieme ai migranti, divenuti ormai parte
integrante e strutturale dei territori, demograficamente attiva,
economicamente produttiva, culturalmente vivace, e religiosamente
significativa, indispensabile al futuro di un Paese altrimenti
destinato a spegnersi inesorabilmente".
Bisogna «superare la differenza tra Chiesa e strada» ha detto alla presentazione del Rapporto Caritas Migrantes il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, sottolineando che "sul tema dei migranti l'informazione ha un ruolo decisivo".
Gli "immigranti" e la piena partecipazione sociale. L'analisi
parte da una precisazione terminologica: il termine "immigrati"
è problematico. "Immigrazione" indica sia un movimento (si parte
dal proprio paese per giungere al paese che si è scelto come
meta d'immigrazione), sia un risultato (si arriva, si tenta di
inserirsi, e dalla società d'approdo è defnito come
"immigrato"). Dal punto di vista del risultato, "italiani",
"immigrati" e "stranieri" appartengono tutti alla popolazione
italiana. Sta di fatto che queste tre categorie sono talvolta
confuse tra loro. Ma,nei casi concreti, occorre usarle con
cautela. Se, da un lato, l'immigrato è, per definizione,
chiunque viene qui dall'estero, dall'altro, nel linguaggio
corrente diventa colui al quale si attribuisce un determinato
stereotipo legato all'appartenenza etnico-nazionale, ad uno status
sociale (gli "extracomunitari sono poveri" e "portano malattie").
Un esempio esplicativo è quello dei figli di genitori immigrati
in Italia. Secondo una categorizzazione che è adottata anche
dagli studiosi, sono definiti "immigrati di seconda generazione"
pur essendo nati in Italia. Quest'ultimo caso è uno degli
innumerevoli esempi degli effetti di una visione sociologica
etnocentrica. Nel caso dei figli degli immigrati, ascrivere la
loro esperienza a quella dei loro genitori in quanto immigrati,
significa trascurare quasi del tutto il loro essere educati e
formati in Italia. È la stessa presenza di famiglie d'immigrati
a mettere in discussione i modelli culturali della società
d'approdo, tanto che si può parlare di integrazione in termini
d'interazione reciproca tra i migranti e la società
d'inserimento.
Si può parlare dunque d'immigrati come "attori in divenire", e
qui sembra opportuno (se non doveroso) precisare che proprio per
superare la percezione degli immigrati in termini di persone
dallo status definitivo è stato proposto di parlare di
"immigranti" (a partire dal termine inglese immigrants), per
sottolineare una condizione che è, invece, o dovrebbe essere,
transitoria. Il termine, quindi, ha il pregio di indicare un
passaggio, uno status provvisorio che dovrebbe essere superato
con la pienezza della partecipazione sociale e della cittadinanza.
Nel mondo 232 milioni di migranti. Secondo l'Onu, nel 2013 sono
circa 232 milioni di persone nel mondo che vivono in un paese
diverso da quello d'origine, di cui la componente femminile è
del 48%, dato che, confermando quello del 1990, permette di
sottolineare che uno dei caratteri delle migrazioni del nuovo
millennio consiste proprio nel ruolo sostanzialmente paritario
dei generi nei flussi internazionali. L'accelerazione del
processo risulta in modo evidente se si tiene conto che, nel
1990, i migranti nel mondo ammontavano a 154 milioni. È molto
probabile però che questo dato non tenga adeguatamente conto dei
migranti "senza documenti". Va comunque precisato che, secondo le
stime dell'Oim, la quota dei migranti irregolari sul totale dei
flussi internazionali ammonterebbe al 10-15%.
Dal 1990 al 2013 il numero delle persone che hanno lasciato il
proprio paese d'origine è aumentato del 50,2%. Nel 2013 in
totale i migranti rappresentano il 3,2% dell'intera popolazione
mondiale, rispetto al 2,9% del 1990. Da questo punto di vista,
sempre secondo l'Onu, nel 2013 l'Europa e l'Asia ospitano il 62%
del totale internazionale dei migranti. A seguire c'è il Nord
America col 23%, l'Africa (8%), l'America Latina e i Caraibi
(3,7%) e l'Oceania (3,4%). Ancor più interessante è il
considerare gli 11 paesi del mondo con più alto numero di
migranti che nel 1990 insieme totalizzavano il 44% del totale
internazionale e nel 2013 hanno raggiunto il 54%. È interessante
notare che Stati Uniti e Federazione Russa ospitano
complessivamente un quarto del totale dei migranti
internazionali. Oltre ai paesi d'oltreoceano, come il Canada e
l'Australia, e quelli arabi (Arabia Saudita e Emirati Arabi), nei
primi 11 paesi sono presenti anche paesi europei, come la
Germania, il Regno Unito e la Francia e, agli ultimi posti, la
Spagna e l'Italia.
Triplicati i migranti in Europa. Come si è visto a proposito
dello scenario internazionale, l'Europa, ospitando il 31,3% del
totale dei migranti internazionali, risulta assieme all'Asia e al
Nord America, tra le aree con maggiore presenza dei migranti
internazionali che nell'insieme ospitano l'85% dei migranti
internazionali. Tra il 1990 e il 2010 l'Ue ha attratto (al netto
dei rientri) 28 milioni di immigrati, oltre il triplo rispetto al
precedente periodo 1970-1990 (8 milioni). In particolare,
dall'inizio del nuovo millennio si è assistito ad un
consolidamento del sistema migratorio dell'Ue a partire dai suoi
caratteri di area economica la cui forte coesione, per lo meno
politicamente intenzionale, ha fatto sì che fossero
particolarmente controllate e rigide le trattative per l'ingresso
dei nuovi membri. Questo ha determinato una forte crescita
del'immigrazione che ha consolidato un ruolo significativo dei
paesi dell'Ue nel panorama internazionale dei flussi di migranti.
Il numero totale di stranieri residenti nell'Unione Europea, al 1
gennaio 2013 è di 34,9 milioni di persone, pari all'8,4% del
totale della popolazione.