Attualità

L'intervista. Ramonda: «Per le case famiglia serve riconoscimento giuridico»

Paolo Ferrario mercoledì 13 agosto 2014
«Il riconoscimento giuridico della casa famiglia è una richiesta che avanziamo ai vari governi da molti anni. Tutti ci ascoltano e ci fanno grandi promesse ma, finora, di passi in avanti concreti non ne abbiamo visti. Ma noi andiamo avanti lo stesso, fiduciosi che questo giorno, prima o poi, arriverà». L’ultimo rappresentante governativo a cui Paolo Ramonda ha presentato questa richiesta è stato, due settimane fa, il sottosegretario al Lavoro, Franca Biondelli. «Anche a lei abbiamo spiegato l’urgenza di un provvedimento di questa natura », ricorda il presidente dell’associazione Giovanni XXIII, che ha aperto la prima casa famiglia 41 anni fa a Coriano, vicino Rimini, e oggi ne gestisce 253 in Italia e altre 45 in 25 Paesi del mondo. L’apertura di case famiglia è stata la traduzione pratica di un’idea del fondatore dell’associazione, don Oreste Benzi. «Dare una famiglia a chi non ce l’ha», era l’obiettivo del sacerdote che ha speso tutta la vita a fianco dei poveri. Un compito continuato dai suoi successori, che oggi riuniscono ogni giorno intorno alla tavola della Papa Giovanni oltre 41mila persone, di tutte le età e le condizioni sociali. Presidente Ramonda, perché a più di 40 anni di distanza dall’apertura delle prime case famiglia, ancora non è arrivato il riconoscimento giuridico da parte dello Stato italiano? Dopo tanti anni di esperienza in questo campo, sono sempre più convinto che questa mancanza di chiarezza è dovuta, in primo luogo, all’eccessiva specializzazione che ha caratterizzato l’assistenza alle persone in difficoltà. Nel corso degli anni sono nate comunità per minori, per disabili, per anziani. Ma la famiglia è diversa. Non esistono famiglie composte soltanto da minori, o soltanto da disabili o soltanto da anziani. Per questo motivo, nelle nostre case famiglia c’è un po’ di tutto e sono aperte a tutte le età e a tutte le condizioni. L’aver, invece, voluto dividere tutto in settori ha fatto sì che non ci fosse un riconoscimento di realtà complesse come è appunto una casa famiglia. È così soltanto in Italia o anche all’estero? Di recente abbiamo incontrato a Tirana il presidente della Repubblica d’Albania, Bujar Nishani, sollecitando una legge che riconosca il ruolo e le funzioni delle case famiglia. Nel Paese delle Aquile siamo presenti a Scutari e a Tirana e il presidente Nishani ha detto di apprezzare molto il lavoro fatto dalla nostra associazione. L’auspicio, come sempre, è che ai complimenti facciano seguito azioni concrete nella direzione da noi auspicata. Tornando all’Italia, quando pensa possa arrivare il riconoscimento giuridico? Noi lo chiediamo da anni e stiamo ancora aspettando. Per il momento abbiamo ottenuto il riconoscimento di alcune Regioni (Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Lazio e Lombardia) e per questo non molliamo. Anzi, continuiamo a lavorare sul fronte dell’accoglienza degli ultimi, certi che arriverà anche il momento del riconoscimento giuridico delle case famiglia.