Il video. Le ragazze sommerse e i pescatori: le immagini choc di un naufragio fantasma
Basta lo sguardo per capire. Occhi che implorano e raccontano il terrore. La paura per quello che hanno lasciato sulla terraferma, in Libia. E l’orrore per quello che stanno vivendo, disperse in mezzo al niente, supplicando che la barca si fermi e qualcuno faccia il miracolo. Non solo quello di salvargli la vita, ma di riuscire a risvegliare il bambino, che si è addormentato per sempre tra le braccia della madre. Ucciso dal mare che non perdona, e dall’indifferenza di chi a Tripoli, a La Valletta, a Roma e a Bruxelles, non vuole decidersi, e intanto si negozia con i padroni dei campi di prigionia.
Un frame del video - .
Non è possibile precisare una data né l’esatta posizione geografica nel Mediterraneo Centrale. Tuttavia questo filmato è la testimonianza chiara e terribile di cosa avviene nel Canale di Sicilia da anni. Unhcr/Acnur e Oim, le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite, ripetutamente denunciano i "naufragi fantasma". Vite a perdere di cui non si sa nulla. Barconi che si inabissano con il loro carico di disgraziati, nel silenzio delle autorità.
I pescatori tunisini che hanno registrato quei momenti da uno dei loro telefoni, fanno in modo di non essere ripresi in volto. Prima issano a bordo il bimbo ormai senza vita, tra le urla disperate di quella che sembra la madre. Sottobordo vengono inspiegabilmente lasciate le tre donne. Aggrappate l’una all’altra, tenute a galla da quello che sembra un galleggiante di plastica scura.
Il video è giunto a una fonte libica, un blogger che vuole restare anonimo. «Siamo sotto la minaccia continua delle milizie – ci dice –. Fare i giornalisti, avere un blog, tenere un profilo Facebook di informazione qui ci espone a pericoli continui». La pagina su cui pubblica le informazioni si chiama Libia News Today. Spesso rilancia immagini di stranieri scomparsi nei sobborghi di Tripoli. «Un mio amico pescatore tunisino mi ha trasmesso il filmato – racconta – e vorrei che fosse conosciuto da quante più persone. Perché è quello che succede e spesso dei naufragi non si sa nulla».
Non serve parlare la stessa lingua quando da dietro un’onda sbucano i volti di tre donne e i riccioli senza più vita di un bambino. Sono sfinite e di loro non si sa se siano state salvate oppure no. Il filmato si interrompe dopo novanta secondi. Una delle donne piange disperata. Aveva tenuto con sé il bambino per almeno un giorno e una notte. Era riuscita a non farselo strappare dal mare, non dalla morte. Anche senza vita lo aveva tenuto con sé con la testa fuori dall’acqua. Forse nella disperata speranza che potesse salvarsi, che un miracolo sarebbe accaduto.
«È la volontà di Dio, madame», risponde uno dei pescatori a bordo. Non sappiamo se nelle parole di quegli uomini ci sia compassione o rancore nei confronti delle donne. In quelle condizioni sentirsi dire che la perdita di un figlio "è la volontà di Dio", può suonare come l’invito ad accettare l’ineluttabile o il rimprovero per essersi messe nella mani dei trafficanti. «Perché l’avete fatto? Perché l’avete fatto?», domanda più volte in francese uno dei pescatori, mentre urla agli altri di passargli dell’acqua per dissetare le tre naufraghe, oramai prive di forze.
Non sappiamo nient’altro. Se siano vive oppure no. Se il corpo del bambino ha avuto una sepoltura da qualche parte in Tunisia, dove i villaggi dei pescatori hanno allestito dei cimiteri per i migranti senza nome.
Anche in questi giorni le stragi si ripetono.
Ogni tanto sono le correnti a raccontarlo, quando sulle spiagge di Zarzis, in Tunisia, o a Zuara, in Libia, affiora quel che resta delle "carovane" riempite di botte nei campi di prigionia e poi mandate a morire tra i flutti. Quest’anno i morti sono già 1.173 in tutto il Mediterraneo: «Ma sono stime prudenziali, di molte altre vittime non sappiamo nulla», ripetono fonti di Unhcr/Acnur e Oim.
Mentre il filmato delle tre donne sole e senza quasi più speranza si spegne, restano aperte tante domande. Le agenzie delle Nazioni Unite stanno chiedendo chiarimenti alle autorità dei Paesi coinvolti. Negli archivi delle stragi in mare non risulta che siano mai state soccorse 3 donne e che con loro un bambino sia morto nello stesso evento. Che sia accaduto pochi giorni fa o tempo addietro, è certo se qualcuno sapeva finora ha taciuto.