Sarà indubbiamente un incontro complicato quello di martedì dei ministri del-l’Interno, che dovranno discutere dell’Agenda sulla migrazione preparata dalla Commissione Europea. La stessa che ha proposta quote obbligatorie per la redistribuzione di 40.000 richiedenti asilo da Italia e Grecia. Ieri si sono avute due riunioni degli ambasciatori degli Stati membri, una formale e poi un pranzo. Una discussione che secondo fonti italiane lascia qualche sprazzo di speranza, anche se in realtà i fronti continuano ad essere contrapposti. Certo, recita un documento di sintesi interno della presidenza lettone dell’Ue di cui
Avvenire ha copia, «vi è un’intesa comune sulla necessità di stabilire un meccanismo che dia sostegno agli Stati membri sotto particolare pressioni migratorie». Principi a parte, però, è su come applicarli che la spaccatura resta. Ieri fonti Ue confermavano che una decina di Paesi (tra cui Spagna, Portogallo, Estonia, Lituania, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Bulgaria) chiederà ufficialmente di rimuovere l’obbligatorietà delle quote per sostituirla con la volontarietà, ricordando che le conclusioni del summit del 23 aprile parlavano solo di misure volontarie. «La proposta della Commissione – spiegavano ieri le fonti – viene vista come un nuovo diktat di Bruxelles, provocando forti ripercussioni in termini di consensi». C’è poi un altro drappello di 5-6 Paesi indecisi, gli altri sono quelli che invece accettano l’obbligatorietà: oltre all’Italia, Germania, Francia, Austria, Olanda, Svezia, Lussemburgo e ora anche la Finlandia, che in un primo tempo era contraria a quote obbligatorie. Vari Paesi,
in primis Francia, Germania e anche la Bulgaria, chiedono, però, di modificare la base di calcolo della redistribuzione, per dare più peso ai rifugiati già ospitati. Danimarca, Gran Bretagna e Irlanda sono fuori gioco grazie a un’eccezione garantita dal trattato Ue. Altri punti controversi, si legge nel documento lettone, sono «il numero totale delle persone da ricollocare, i fondi disponibili e la capacità delle strutture degli stati membri di affrontare il ricollocamento». Una situazione in cui è difficile trovare una maggioranza qualificata, la speranza è che lo sblocco possa arrivare a livello di leader al Consiglio europeo del 25 e 26 giugno. Molti diplomatici dubitano che l’obbligatorietà alla fine salti. Un portavoce ieri ha confermato che la Commissione non recederà di un millimetro sull’obbligatorietà, e ha messo in guardia dal rinviare a settembre, e anche l’Italia non cede. Anche perché «senza obbligatorietà – commentava un diplomatico – salta tutto il sistema». Per un’intesa, però, sarà necessario almeno smussarla. Ieri fonti Ue parlavano di un piano B per una «terza via»: il trucco potrebbe stare ad esempio nell’ampliare le possibilità per uno stato di rifiutare un reinsediamento sul proprio territorio, mentre il testo della Commissione prevede al momento solo questioni di pubblica sicurezza.