Arrivederci. La gratitudine e il dovere. Quest’articolo lungo 14 anni
Queste righe sono per dire grazie, salutare e dare un arrivederci. Metto il punto, oggi, al più lungo articolo della mia vita di giornalista. Un articolo lungo 14 anni. Scritto mettendoci faccia e cuore e dando certamente impronta a queste pagine d’Avvenire, ma sapendo di essere al servizio e non al comando, e resistendo alla possibilità di farne uno spazio di soliloqui e di duelli (tendenza crescente – ahinoi – in un tempo di leaderismi e bellicismi politici e anche giornalistici). Un articolo lungo 14 anni costruito, anche e soprattutto, valorizzando le belle professionalità e sensibilità delle mie colleghe e dei miei colleghi e il contributo di collaboratori e collaboratrici davvero preziosi.
Ho firmato e ragionato con loro, nella responsabilità esercitata, i loro pezzi. Sarò sempre grato per questo. Ho “rubato” le loro parole e ho offerto le mie, le abbiamo fatte nostre e insieme le abbiamo date ai lettori e alle lettrici che, in dialogo, continuano a restituircele. Abbiamo interpretato lo spartito della cronaca che in modo sempre più concitato si fa storia. E ogni giorno abbiamo consegnato alle pagine, e a chi si fida di noi, un giorno della vita dell’Italia e del mondo e chiavi di lettura dei processi politici e culturali, spirituali ed ecclesiali che si fanno e ci fanno nelle vicende minute e grandi.
Non siamo stati perfetti, i giornali non lo sono mai e i giornalisti non sono algoritmi, né oracoli né profeti, ma siamo stati liberi, fondati e veri nella narrazione e nell’opinione condivisa, cercando di tener fede sempre al dovere dell’onestà. L’unico che conti per chi fa questo mestiere.
Insieme abbiamo raccontato la nostra «casa comune», la terra degli uomini e delle donne e di ogni altra creatura e il cielo di Dio che sta sopra la terra, e sotto al quale nessuno è straniero e clandestino. E insieme, per anni, con chiarezza crescente, abbiamo liberamente scelto la parte dei piccoli e dei deboli, degli scartati e degli impoveriti, dei malati e delle persone isolate e sole, dei diseguali per condizione non per dignità. Senza dimenticare mai, nello sfrigolare aspro dei cortocircuiti generati dagli spacciatori di slogan e di regole contro la solidarietà, le donne e gli uomini che ogni giorno “fanno la cosa giusta” nella scuola e nell’impresa, nelle istituzioni e nelle realtà sociali, nella tutela del creato. Abbiamo dato anche a loro cittadinanza mediatica e prima pagina perché il domani che vogliamo è l’oggi buono che già vivono e fanno vivere.
La parte scelta e riscelta, con fedeltà alla nostra ispirazione cattolica e al mandato dell’Editore, è stata comunque e sempre quella delle vittime, che non devono continuare a esserlo e che non devono più diventarlo né di poteri e sistemi iniqui né di meccanismi più o meno pensanti. È l’unica parte certamente giusta. E per questo, con tutti i “se” e i “ma” che bisogna saper considerare, siamo stati e siamo contro ogni guerra e accanto a coloro che le ripudiano nella vita quotidiana, nella politica e nell’economia, nella cultura e nella tecnoscienza, nella religione, e si caricano della straordinaria e umile fatica di costruire la pace, senza violenza e senza prevaricazione, nel nome di Dio e dell’umanità. Perché la pace è cantiere di fraternità o non è. Mai più, la pace, etichetta formale e prezzo del sangue ancora e sempre versato, ma obiezione alla morte inferta e resistenza al “cainismo” personale e di gruppo o di nazione. In ascolto della voce di papa Francesco e dei suoi predecessori lungo tutto il Novecento e in questo Terzo Millennio e, spalla spalla, con uomini e donne di buona volontà di ogni visione e tradizione.
I giornali sono vivi se sono comunità di lavoro. Avvenire lo è, ed è gli uomini e le donne che lo fanno. E io so che sotto la guida di Marco Girardo – grande collega e uomo di valore e di valori – continuerà a esserlo con l’originalità che ognuno di noi porta nel nostro “lavoro intellettuale collettivo” e nella relazione fertile con quanti ci leggono. Sono stato l’ottavo direttore nei 55 anni di storia di Avvenire, con la semplice ambizione di non esserne l’ultimo. E oggi il nostro giornale c’è, ed è un giornale importante.
Ringrazio l’Editore per la fiducia e la libertà che mi ha dato in questi intensi e bellissimi anni, e per avermi rivolto, assieme al nuovo Direttore, l’invito a esserne ancora – con il mio timbro – una delle voci. Buon Avvenire a tutti