L'analisi. Quel che non sappiamo ancora della strage di Suviana e quello che conta
I soccorritori davanti alla centrale di Suviana
Non sappiamo. E dunque sbaglieremmo a giudicare, a emettere già sentenze di colpevolezza e sdottorare sulle ricette da applicare, tutti noi esperti da tastiera di sicurezza del lavoro. La verità sulle cause del terribile incidente alla centrale di Bargi sono ancora letteralmente sommerse sotto metri d’acqua. E ci vorrà tempo per riportare a galla anche solo qualche indizio che ci dica se si è trattato di un difetto delle turbine vecchie o di quella nuova. O un errore di coordinamento tra una squadra e l’altra di tecnici manutentori. O, più probabilmente, l’imprevisto di un cortocircuito, un surriscaldamento del trasformatore, la rottura di una tubatura. E se ci sono responsabilità penali e di chi. E se tutte le norme sui contratti, su appalti e subappalti, sono state rispettate. Non sappiamo. Non ancora perlomeno.
Ciò che invece sappiamo maledettamente per certo è che tre uomini sono stati recuperati cadaveri da quella centrale. E che di altre quattro persone non abbiamo traccia: chissà quando e dove e come li troveremo, mentre nello scorrere delle ore sale l’acqua e si riduce il volume dell’aria. Agli stessi soccorritori viene a mancare l’ossigeno della speranza, lo ammettono senza edulcorare le parole. E ancora, che altri cinque lavoratori sono ricoverati in gravi condizioni negli ospedali, lottano per sopravvivere con ustioni che piagheranno il loro corpo per sempre. Questo, solo questo, è ciò che sappiamo maledettamente per certo: ci sono dodici persone, e le loro famiglie, coinvolte in un dramma. Personale per sempre, collettivo per qualche giorno. Che commuove i media e il pubblico, riaccende l’attenzione sul tema della sicurezza del lavoro e ravviva ulteriormente l’impegno dei sindacati, in maniera più o meno efficace. Ma poi si risolve spesso nella sterile richiesta di nuove norme, come se bastassero da sole, e la politica si divide in schieramenti polemici anziché unirsi su un terreno comune di impegno. Ad esempio, convocando degli Stati Generali della sicurezza sul lavoro, con tutte le parti coinvolte per studiare a fondo – insieme lasciando perdere le accuse incrociate – nuove campagne, piani più dettagliati e capillari. Per tarare meglio gli obblighi, restituire efficacia agli interventi, sostituire agli adempimenti meramente burocratici misure tangibili.
La sicurezza sul lavoro è garantita certo dal diritto e dalle leggi che lo regolano e lo rendono concreto con imposizioni, ispezioni e controlli fatalmente a campione. E poi con un aspetto repressivo, fatto di multe, premi Inail che aumentano, chiusure di cantieri e sì, anche galera, quando necessario. Ma la sicurezza e tutela della salute dei lavoratori è resa concreta e garantita prioritariamente da due elementi: coscienza e responsabilità. Coscienza dei rischi, che è anche coscienza di sé e dei propri limiti.
E responsabilità verso sé stessi e gli altri, per la propria e l’altrui incolumità. Impegni che vanno esercitati ogni giorno sul luogo di lavoro, tra compagni, ma non di meno – anzi, assai di più – quando i rischi non sono condivisi, quando si incarica o si delega o si appalta ad altri un lavoro. È con questa coscienza, con questa responsabilità che occorre fare i conti, sempre e innanzitutto. Prima del margine, della produttività, dei tagli dei costi, della guida della propria azienda, di questa sera che “sbrighiamoci e andiamo a casa presto” o peggio “muovetevi che dobbiamo consegnare la merce”. Perché in gioco c’è la vita dell’altro, che ha uguale dignità e valore della mia ed entrambe valgono più d’ogni altra cosa.
Coscienza e responsabilità sono i “fattori umani” che dovrebbero caratterizzarci come esseri consapevoli, come persone, e di cui invece ancora facciamo difetto. Fattori che nessuna tecnologia, per quanto utile e avanzata, potrà sostituire o garantire (anzi, qualche freddo algoritmo può calcolare solo la via più rapida per raggiungere un risultato, senza tener conto di tutte le conseguenze, dei prezzi da pagare). Fattori che nessuna legge può neppure imporre per decreto. Questo è ciò che sappiamo maledettamente per certo: spesso, troppo spesso, la nostra responsabilità viene meno. E sulla coscienza ci pesano oggi dodici persone, le loro famiglie, coinvolte in un dramma. Sulla coscienza di tutti – anche se con responsabilità molto diverse – pesano, continuano a pesarci ogni giorno tre morti e 1.600 feriti. Lavoravano.