Poco meno di 40 anni fa, il 18 maggio del 1978, con il voto definitivo del Senato e, quattro giorni dopo, con la firma del capo dello Stato, la legge di legalizzazione dell’aborto volontario (numero 194/78) fu approvata con una sparuta maggioranza, nonostante la Costituzione affermi nel suo secondo articolo che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo». Questi non avrebbero senso se il loro elenco non cominciasse con quello alla vita. Fu una vittoria che spaccò il Paese in due e fece esultare non solo lo schieramento laicista dentro e fuori del Parlamento, ma soprattutto il Partito radicale con il suo leader Pannella, tra i più forti sostenitori della legittimazione. Quando, soltanto due mesi prima, la legge era stata approvata dalla Camera, un agghiacciante applauso l’aveva salutata come un trionfo. E così in Senato. Il trio radicale Marco Pannella, Adele Faccio ed Emma Bonino gioiva e insieme si lamentava perché nella nuovo legge restava la punizione dell’aborto clandestino mentre nella loro proposta era prevista l’abo- lizione senza sostituzione degli otto articoli che nel Codice penale punivano severamente l’aborto. Il motivo era rendere l’aborto volontario un semplice episodio nella vita di una donna e la richiesta era fondata su una motivazione sostanzialmente solo politica. Uno slogan assai efficace fu lanciato da Emma Bonino e altre esponenti del femminismo. Diceva: «L’utero è mio e lo gestisco io». Una rivendicazione assurda, ma che – oggi ce ne rendiamo conto – aprì ideologicamente la strada anche ai mercanti dell’«affitto dell’utero». Una parte importante del Paese pensò che per abrogare la legge 194 sarebbe stato necessario un referendum popolare e varie associazioni cattoliche si impegnarono in questa direzione, così come
Avvenire, allora da me diretto. Pannella lanciò un referendum parallelo in sostanza per riconoscere l’aborto come «diritto », ma l’esito, come è noto, fu negativo per entrambe le iniziative e la legge 194 resto così com’è. Anche perché una campagna mediatica spesso disonesta e ben organizzata raggiunse il suo scopo. Da allora a oggi il numero totale degli aborti di Stato supera i 5 milioni.
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