Coronavirus. Dramma nelle case di riposo: decine di vittime nelle strutture per anziani
La Casa di riposo di Mediglia, vicino Milano, dove di recente sono stati registrati 44 decessi
Su un letto della terapia intensiva, intubati, i malati di Covid–19 in fin di vita possono comunicare solo con gli occhi la loro paura della morte, all’infermiere o all’anestesista di turno. Nessun altro è ammesso nella stanza. Fino all’ultimo respiro strappato al ventilatore meccanico il loro sguardo è come «un grido di morte taciuto». Se ne vanno così, in solitudine, senza la carezza dei propri cari, senza nessuno che li possa accompagnare negli ultimi istanti dell’esistenza terrena con una preghiera o un gesto di conforto. Qualche volta, quando è possibile, fuori dalla porta delle camere di Rianimazione c’è un sacerdote in mascherina protettiva e guanti che snocciola tra sé un rosario: una presenza discreta ma necessaria, come quella, all’ospedale “Giovanni XXIII” di Bergamo, di fra’ Aquilino Apassiti, 84 anni, il cappuccino chiamato ad assistere i pazienti e i parenti delle vittime del coronavirus.
Troppi morti in corsia.
E quando viene accertato il decesso nei reparti o in corsia, il che può accadere anche a distanza di parecchie ore, i cadaveri, chiusi in casse di legno, finiscono nelle camere mortuarie. Dove non c’è più posto. Rimarranno per sempre come una ferita nel cuore del Paese quelle immagini con la sfilata delle bare sul pavimento della cappella del cimitero di Bergamo e del tendone dell’ospedale orobico Gavazini: le foto– simbolo della tragedia che stiamo vivendo insieme a quella dei camion militari che trasportano le salme fuori città per la cremazione in altre regioni. Perché anche qui non c’è più posto. Sono quasi 3.500 i morti causati finora in Italia dal coronavirus, un numero destinato purtroppo a crescere nei prossimi giorni.
Anziani, un incubo.
Le strutture che ospitano gli anziani rischiano di diventare delle “polveriere”, soprattutto a causa della mancanza dei dispositivi di protezione per degenti e personale. Nella Casa di riposo di Quinzano in provincia di Brescia, dall’inizio dell’emergenza coronavirus si contano 18 morti, anche se solo uno (l’unico a cui è stato fatto il tampone) risulta riconducibile al Covid–19. Dei 150 ospiti della Rsa di Gandino, in Val Seriana, Bergamo, una quarantina ha la febbre e dal 24 febbraio ci sono stati 15 decessi. A Milano, secondo Flavia Albini, responsabile Terzo settore della Cisl, ci sono «una struttura con un intero reparto in quarantena» e almeno altre due con casi conclamati, mentre sono segnalati altri episodi di sospette positività. Un focolaio è stato individuato nella Casa di riposo di Mombretto, a Mediglia, vicino Milano: sarebbero 44 i decessi che si sono verificati nelle ultime settimane. Terzo morto a Cingoli (è una donna di 94 anni) correlato al virus: la Procura della Repubblica di Macerata ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo multiplo aggravato e per lesioni: in questa Casa di riposo sono contagiati 33 ospiti e due operatrici sanitarie.
Il nodo funerali.
Giornate massacranti anche per gli addetti alle onoranze funebri, come sottolinea Marco Ghirardotti, presidente di Assocofani, che riunisce le agenzie del settore: «Si fanno turni doppi per sostenere e affiancare i clienti nel migliore dei modi – spiega – rifornendoli di tutto il necessario e affrontando situazioni pericolose con il rischio di essere contagiati ». Anche se gli addetti al servizio funerario per non essere infettati devono indossare tute, camici, guanti, occhiali e maschere speciali e conclusa la sepoltura hanno l’obbligo di sanificare subito macchine, attrezzature e indumenti usati. «Non riusciamo a fermarci, sono tre giorni che non dormo: abbiamo seppellito 40 persone una dietro l’altra, viviamo con il terrore che il telefono continui a squillare» afferma Nicolas Facheris, impresario di un’agenzia di Madone, nella Bergamasca. Ma può accadere anche che, per il troppo lavoro, nessuno avvisi i parenti dell’avvenuto decesso di un loro congiunto, come è successo giorni fa a Medicina, il Comune epicentro del contagio nel Bolognese, dove un’anziana, spirata per cause naturali e non per il coronavirus, è stata sepolta senza che i nipoti ne sapessero niente.
Anche le famiglie sono sole.
Il decreto “Io resto a casa” dell’11 marzo scorso, vietando gli assembramenti, prevede che le esequie si debbano tenere nel luogo della sepoltura (o della cremazione), senza celebrare la Messa e con una presenza limitata ai parenti più stretti del defunto, i quali devono entrare nella camera mortuaria due per volta, mantenendo la distanza di sicurezza e rimanendo comunque il meno possibile nella stanza. Il protocollo imposto dalla legge, inoltre, vieta di toccare la salma o il feretro. Lo stesso vale per le condoglianze ai parenti: gli abbracci e le strette di mano sono temporaneamente proibite, come sappiamo. Ma il sacerdote può benedire la bara. Come fa a Bergamo padre Aquilino: «I familiari dei defunti mi chiamano, io metto il cellulare sulle salme dei loro cari e preghiamo insieme» ha raccontato a Radio InBlu. «L’altro giorno – prosegue il frate – una signora non potendo salutare il marito defunto mi ha chiesto di fare questo gesto: ho benedetto la salma, fatto una preghiera e poi ci siamo messi tutti e due a piangere per telefono. Si vive il dolore nel dolore, è un momento di grande prova per tutti». Niente veglia funebre, dunque, se non quella a distanza, usando i social o whatsapp, come fanno in molti ormai, con l’aiuto di un prete.