Attualità

Il direttore risponde. Quel dimenticato popolo di Giugliano Chi ha poteri e doveri intervenga adesso

Marco Tarquinio venerdì 7 febbraio 2014
Caro direttore,
sento che, ancora una volta, "Avvenire" è chiamato a dare voce a chi voce non ha. Abbiamo celebrato domenica scorsa la Giornata per la vita. La vita è un dono immenso, unico, irrepetibile. Nei confronti della vita ogni uomo, come Mosè sul monte, deve togliersi i calzari e avanzare lentamente. Già altre volte ho avuto modo di accennare a un fatto dal sapore quasi disumano che si consuma a Giugliano. Come tu e i lettori di "Avvenire" ben sapete, in questa cittadina alle porte di Napoli e in diocesi di Aversa, lo scempio ambientale è stato di dimensioni disastrose. Proprio a Giugliano, infatti, si trova la cosiddetta "area vasta" la zona cioè dove insistono diverse discariche di rifiuti industriali talmente pericolose che hanno fatto dire al geologo Giovanni Balestri che il peggio in questa parte della Campania non è ancora avvenuto, ma si avrà verso il 2060, quando i veleni che continuano a sprigionarsi dai rifiuti industriali avranno raggiunto la falda acquifera. Il Commissario della Resit, il dottor Mario De Biase, ebbe modo di affermare pochi mesi or sono che lo scempio è tale da non farlo dormire di notte e che – secondo lui – la situazione è paragonabile solo al disastro di Chernobyl. Ebbene, direttore, la cosa più grave, di cui si parla tanto poco e tanto male, è che a ridosso della Resit sorge un campo rom con una popolazione di circa 400 persone di cui la maggior parte bambini, adolescenti o giovani mamme. È qualcosa di inconcepibile, credimi. Queste persone sono costrette a respirare da mattina a sera i miasmi puzzolentissimi e velenosi che si sprigionano da quei terreni avvelenati. Noi, gente amante della vita, abbiamo il dovere di liberare questo popolo e di aiutarlo a trovare una sistemazione più dignitosa e sicura. "Avvenire" ha già scritto tanto anche su questa vicenda, ma ti chiedo di richiamare ancora una volta l’attenzione di tutti sui rom di Giugliano. I loro bambini vanno tutelati, come tutti i bambini di questo mondo. Se continueranno a vivere su quella discarica, sono destinati ad ammalarsi e a morire in breve tempo. Noi cristiani non possiamo permetterlo. Benedico te e i tuoi lettori.
padre Maurizio Patriciello
Ogni volta che penso a Giugliano, alla Resit e alla "discarica dei rom", caro padre, caro don Maurizio, penso all’orlo di un vulcano apparentemente silenzioso, ma in sinistra ebollizione. Penso a una tragedia che si sta consumando con inesorabile e segreta violenza dentro la terra e sulla sua crosta infettata da arrogante e avido cinismo. Penso alla data già fissata – quella che tu citi: il 2060 delle acque totalmente morte – per il culmine di questo innaturale cataclisma, per l’acme di questa derelitta Chernobyl di bimbi e ragazzi che non diventeranno vecchi, di falde avvelenate, di campi mortificati. Non mi ha sorpreso la tua bella e dura lettera, caro don Maurizio, scritta mentre finalmente, a larga maggioranza, il voto dei parlamentari riportava la legge, là dove per decenni aveva imperato la ferrea e assassina non-legge dei camorristi e di uomini d’industria e d’affari altrettanto malviventi, spregiudicati e feroci. Non mi ha sorpreso, ma ha riacceso l’inquietudine. Mi ha fatto ricordare tutte le volte che in redazione ci siamo detti: scriviamo, scriviamo forte, qualcuno finalmente sentirà e interverrà. Mi ha fatto tornare in mente tutte le occasioni in cui ci siamo illusi: questa è la volta buona, non si possono lasciare ancora uomini, donne e bambini a morire di una morte annunciata e atroce. Mi ha fatto sperimentare di nuovo l’incredulità e la dolorosa indignazione provate per mesi e mesi davanti al muro di gomma alzato attorno alle terribili verità della "terra dei fuochi" e degli sversamenti tossici... Toni Mira, oggi, scrive di nuovo – a pagina 6 – di Giugliano e dei suo poverissimi, condannati rom. E lo fa con la passione e la precisione di sempre. Perché ci riproviamo, come tu ci chiedi, a far aprire occhi e orecchi a chi non vuol vedere e non vuol sentire, a scuotere chi gira ostinatamente la testa, chi alza le spalle e magari si ripete che "occuparsi degli zingari non conviene". Eppure noi, assieme a te, ci riproviamo. E sappiamo di non essere soli. Adesso che Governo e Parlamento hanno solennemente riaffermato che anche la terra dei roghi e degli sversamenti tossici è Italia e che l’Italia non intende più abbandonare pezzi di sé nelle mani sporche di sangue e, idealmente, di "percolato" di quegli spietati "invasori" della porta accanto che sono i delinquenti camorristi e gli affaristi loro emuli e complici, noi ci riproviamo. Ci riproviamo a chiedere un atto di umanità e di giustizia e non solo alle autorità locali, ma anche ai leader di tutti i partiti e al governo nazionale, e in particolare al presidente del Consiglio Enrico Letta e al ministro dell’Interno Angelino Alfano. Che ieri Letta abbia deciso di presiedere personalmente la prima riunione del "Comitato terra dei fuochi" fa sperare. E noi, caro padre, ci riproviamo a parlare di Giugliano e dei bimbi rom che vivono sull’orlo del "vulcano" inventato dai folli signori dei veleni. Ti siamo grati di accompagnarci ancora una volta a farlo, e speriamo di poter essere presto grati a chi ha poteri e doveri per dimostrare che in quella martoriata fascia di terra tra Napoli e Caserta qualcosa è davvero e civilmente cambiato.