Coronavirus. Quel che (ci) resta della quarantena: volti e idee per ripartire
Quindi, si riparte. Il 18 maggio è un nuovo «Pronti, via» per l’Italia. Ricominciano le Messe con il popolo, riaprono i negozi, si potranno vedere oltre ai familiari anche gli amici, si potrà andare in palestra e dal parrucchiere. Anche se indossando mascherine e mantenendo le distanze, anche prenotando il posto in spiaggia e al ristorante, anche se con mille incognite per il lavoro perso o rallentato, l’Italia esce finalmente dalla quarantena. Ma cosa ci lascia, questo lungo periodo che in molti hanno vissuto come tempo «sospeso», anche se di vita vera si è trattato? Oltre alla paura, il dolore, l’angoscia e il lutto, l’isolamento, la lontananza, la lotta dei medici e degli infermieri, cosa ci portiamo nel cuore? In mezzo a tanti «senza » abbiamo colto anche qualche segno positivo, qualche speranza per un futuro un po’ migliore? In queste due pagine troverete alcune risposte: la redazione di Avvenire ha interpellato compositori e operai, atleti e volontari, maestri e infermieri, sindaci e venditori di strada, parroci e studenti... chiedendo a ognuno uno sguardo verso il futuro. Ma ogni lettore può dare la sua personale risposta.
È tempo di guardare avanti. (A.Ma.)
E ora costruiamo un mondo fanciullo
Giovanni Allevi compositore, 51 anni, Milano - .
La quarantena è stata un periodo di buio, in cui ho preso coscienza della caducità del mio lavoro e della fragilità del nostro essere umani. Sarò l’ultimo a tornare alla mia attività sul palco di un teatro; attenderò, come ho fatto in questi mesi. Eppure dal buio e dalla paura è sgorgata nel mio cuore una delicata luce inaspettata: ho sviluppato una attitudine contemplativa, mi sono nutrito del silenzio, ho scritto musica nuova. Costretto a fermarmi, ho potuto osservare minuziosamente la rinascita di una piccola pianta grazie alle mie cure, e ho gioito del primo fiore sbocciato, quasi fosse il simbolo del futuro che ci attende. Nuove note hanno inondato la mia mente, nuove melodie, che soprattutto ora assumono una luce differente, e mi sembra un sogno poterle un giorno condividerle sul palco in teatro. Ora ho la certezza che tutti insieme costruiremo un mondo più bello, meno competitivo, più solidale, meno adulto, più fanciullo. Inizia per l’umanità una nuova primavera.
Via dai ritmi pazzi, quante gioie inaspettate
Sebastiano Somma attore, 59 anni, Roma - .
Partirei proprio dal termine lockdown, che mi ha fatto pensare a un 'confino', quasi una nuova Ventotene. Quegli uomini, però, seppero trasformare la privazione in un’opportunità per progettare l’Europa unita. Così spero che il nostro 'confino' sanitario si trasformi in un’occasione per migliorarci. Ho riflettuto sui ritmi forsennati di prima e sulla qualità del tempo nella quarantena. Ho letto tanto, ho ascoltato buona musica, mi sono confrontato con la mia famiglia, con gli amici, i colleghi, ho fatto la pizza in casa, assecondando la mia passione napoletana, ho immaginato nuovi percorsi professionali, ho pianto per chi non ce l’ha fatta, mi sono commosso per quelli che hanno lottato per gli altri. Insomma mi sono ripreso il tempo, come fa un attore sulla scena, calcolando parole e silenzi. E il silenzio del Papa, nella preghiera del 27 marzo, mi è rimasto nel cuore. Se in futuro riusciremo a vivere il nostro tempo così, senza lasciarci stritolare dai ritmi frenetici, potremo regalare a noi e agli gioie inaspettate.
Antonio Terzi libraio, 49 anni, Alzano Lombardo (Bg) - .
Era la mattina del 3 marzo. Vicino alla libreria tre interventi, in un paio d’ore, a prelevare anziani che non respiravano più. Abbiamo chiuso il negozio il lunedì successivo: una settimana prima che arrivasse l’obbligo decretato dal governo, ad Alzano noi commercianti abbiamo deciso tutti di fermarci. Ed è stato un primo modo spontaneo di sentirci comunità. Le prime settimane sono state di smarrimento totale, poi però quello che hai seminato ti viene in soccorso: da anni, con un gruppo di amici e colleghi di Bergamo e provincia, organizziamo la Fiera dei Librai. Insieme abbiamo deciso di farla comunque, online. Risultato: migliaia di visualizzazioni per conferenze da dieci minuti che ci permettono oggi di dire che il Covid non ci ha fermati. Poi ho deciso di iniziare il servizio a domicilio, e casa si è trasformata in un magazzino. Quando andiamo dai clienti dietro le mascherine troviamo sorrisi e commozione, infinitamente più preziosi di quanto incassiamo.
testo raccolto da Marco BiroliniImparare ad adattarsi lezione per la vita
Filippo Tortu atleta, 21 anni, Milano - .
È stato un periodo molto complicato e difficile, come tanti altri atleti anche io ho dovuto sospendere per diverse settimane gli allenamenti a causa della pandemia. Ma per certi versi è stato anche un periodo positivo e felice soprattutto perché ho potuto trascorrere moltissimo tempo insieme alla mia famiglia. Era da tanto che non succedeva a causa dei miei impegni sportivi. Ho imparato poi un’altra cosa. Che bisogna avere la capacità di modificare in corsa i propri progetti e riuscire ad adattarsi a cambiamenti che non dipendono dalla tua volontà: è una conquista difficile e faticosa ma ora posso dire che è fondamentale. Riusciremo ad essere davvero persone migliori? Penso proprio di sì, anche perché da un periodo così difficile si esce sicuramente più forti. E mi sembra davvero che tutti stiamo imparando ogni giorno ad apprezzare le cose semplici che sono spesso le più belle e importanti della nostra vita.
La potenza della solidarietà
Simone Cairo sindaco di Bresso (Mi), 51 anni - .
Queste settimane di epidemia ci lasciano tante immagini di dolore: l’impossibilità di stare vicini e vegliare i propri cari durante la malattia e negli ultimi momenti della loro vita, la fila di camion militari con le salme in partenza da Bergamo, la disperazione degli infermieri nelle terapie intensive, la solitudine delle inumazioni dei defunti nei cimiteri chiusi. Bresso, il Comune di cui sono sindaco, ha avuto tanti ammalati nei primi giorni di diffusione del virus e nelle settimane successive purtroppo abbiamo pianto la scomparsa di molti concittadini. Come Sindaco ho potuto verificare, però, la potenza della solidarietà, la chiamerei meglio 'Provvidenza'. Nei momenti più difficili in cui pareva non esserci soluzione ai problemi contingenti, entrava nella mia vita, improvvisamente, una persona, un’azienda, qualcuno capace di portare una collaborazione indispensabile, una donazione inaspettata, l’arrivo di volontari. Credo che la consapevolezza che uniti possiamo tanto e di più, sia la speranza che possiamo intravedere per i prossimi anni.
testo raccolto da Francesco RiccardiDal black out una rivelazione
Suor Gabriella Perazzi Orionina, 49 anni, Tortona - .
È stato tutto improvviso: l’irruzione del virus nella nostra casa di riposo con il contagio delle consorelle già malate e anziane, lo sgombero in tutta fretta, i 17 casi di positività accertati, e poi il ricovero e la morte di 8 di loro. Nella Casa madre delle Piccole Suore Missionarie della Carità di Don Orione a Tortona, dove sono economa, sono rimasta con un’altra suora ad assistere giorno e notte 6 consorelle, con la pressione delle notizie angosciose che ci arrivavano, chiuse dentro. Ho sperimentato un black out spirituale: proprio nel momento della maggiore difficoltà non riuscivo più a pregare. È in quella lunga ora buia che ho ritrovato il senso di tutta la mia vocazione: il servizio agli altri, prestato a chi dipende completamente da me, dal mio rimanere al suo fianco. Allora la carità si trasforma in preghiera, perché è proprio vero che Cristo non è lontano ma lo trovo nella carne dei sofferenti e dei poveri. Mi sono prodigata per rendere più leggera a tutte una situazione tanto difficile. E nella cura di chi mi è affidato sono riuscita a trovare un senso al mio restare. Per servire.
testo raccolto da Francesco OgnibeneSenza banchi, ecco le persone
Domenica De Cicco maestra, 53 anni, Casalnuovo (Na) - .
Ho iniziato ad insegnare a 25 anni, oggi lavoro in una scuola primaria statale a Tavernanova, una frazione del paese. La passione per il mio impegno scolastico, che mi ha portato tra l’altro a far parte della Rete Nazionale degli insegnanti per la Gentilezza, non è venuta meno in questo periodo complicato per l’insegnamento e per le relazioni. Non è stato facile adattarmi ai ritmi e ai limiti della Didattica a distanza. All’inizio ero preoccupata: quest’anno seguo le quinte classi, i miei ragazzi sono all’ultimo anno, un momento delicato della loro vita. Poi mi è venuta in soccorso, tra le altre cose, la preghiera: sono consacrata dell’Ordo Virginum e nelle ore di dialogo con il Signore ho trovato risposta ai miei timori, scoprendo che dentro le difficoltà c’era un grande dono: l’incontro. Ho provato a trasformare la Didattica a distanza in possibilità di incontro con ciascuno dei miei alunni, coltivando non solo il legame pedagogico ma anche quello affettivo. Mi sono messa a camminare, seppur da ferma, insieme a loro e con chi mi è più prossimo, dai vicini alla famiglia, alla parrocchia. Ed è iniziato un viaggio.
testo raccolto da Mariangela ParisiStare con chi soffre ci dà forza
Marina Vanzetta infermiera, 55 anni, Ospedale Don Calabria, Negrar (Vr) - .
Che «si sta come d’autunno sugli alberi le foglie» lo sapevamo già. Ma non eravamo pronti a vedere tante foglie cadere tutte insieme. Abbiamo imparato l’inimmaginabile. Che a volte il tempo non ti dà tempo, e che la lotta può essere impari. Possiamo dire che il prezzo è stato alto, ma forse ce l’abbiamo quasi fatta: e dobbiamo continuare, perché siamo dei professionisti. Abbiamo toccato con mano la nostra resilienza. Lo sapevamo già noi, ora se ne sono accorti anche gli altri. Siamo, adesso, ancora più consapevoli delle nostre competenze, della nostra capacità di stare accanto a chi soffre senza lasciare mai nessuno da solo, anche se in questo tempo sospeso i nemici sono stati due – il virus e la solitudine –, entrambi impalpabili ma devastanti. Abbiamo rinforzato la nostra capacità di fare squadra tra di noi e con tutti gli altri operatori per portare a casa il risultato. Abbiamo imparato ancor di più l’irrinunciabilità della relazione con il paziente, che per noi è tempo di cura.
testo raccolto da Enrico NegrottiNoi due, insieme nel «deserto» inatteso
Luisa e Paolo Benciolini pensionati, 84 anni, Padova - .
Sono cessati gli incontri con gli amici, gli impegni culturali e religiosi che hanno sempre caratterizzato la nostra vita. Questo 'deserto' inatteso ci ha permesso di rivisitare tutto ciò che abbiamo vissuto in questi lunghi anni, in molti casi rileggendo positivamente il cammino che ci ha reso quelli che siamo oggi. Siamo sposati da 57 anni e ci sentiamo privilegiati: condividiamo serenamente anche questa emergenza e possiamo confrontarci su ciò che accade a noi, ai nostri figli e nipoti, assaporando ogni mattina le parole pacate, profonde, rasserenanti di papa Francesco da Santa Marta. Non potendo partecipare all’Eucarestia, abbiamo così condiviso l’esperienza quotidiana di comunione e di lettura della Parola. Siamo stati vicini a tanti amici rimasti isolati, colpiti da lutti, anche se non eravamo abituati a messaggi e 'video-incontri'. Abbiano rafforzato la comprensione che la nostra vita è stata un tempo di grazia e in questa luce valorizziamo gli anni che ci rimangono.
testo raccolto da Luca BortoliPer strada, a portare conforto a chi è solo
Roberto Signore poliziotto, 48 anni, Verona - .
Sono un poliziotto che in strada va solo a volte. Il mio impegno principale è predisporre i servizi dei miei colleghi. Il covid mi ha fatto capire che siamo tutti in mezzo alla stessa tempesta, ma non sulla stessa barca. Perché ci sono barche che reggono facilmente alle onde e zattere che rischiano di andare a fondo da un momento all’altro. Me ne sono accorto da quando i colleghi hanno iniziato a chiamarmi per chiedere di lavorare di notte o nei giorni festivi. Sono pochi euro in più, ma tanti hanno la moglie o il figlio che non lavora più. Anche mia moglie ha saputo che presto dovrà cercare un altro lavoro. Abbiamo tre figli. Ma non abbiamo paura. Perché hanno imparato a rinunciare al superfluo. Perché, forse, il virus ci ha tolto tanto, ma ci ha anche dato una nuova consapevolezza: che le barche, per navigare nelle tempeste, non solo devono essere solide, ma devono avere un equipaggio dove ognuno porta il suo contributo. Facendo il proprio dovere, ma insieme offrendo comprensione e solidarietà a chi, sulla strada, troviamo da solo.
testo raccolto da Vincenzo R. SpagnoloUn sollievo poter contare sugli altri
Mimmo Amorati operaio, 65 anni, Frosinone - .
Cosa mi resta da questa lunga quarantena? Che la vita è una, che dobbiamo cercare di volerci bene. Che tutti i litigi, spesso per soldi, sono inutili. Che i valori sono altri, a cominciare dalla famiglia. Qui l’emergenza l’abbiamo vissuta meno che al Nord, ma la mia speranza è di non rivedere mai più le bare che escono dalla città di Bergamo e che gli scienziati trovino presto un vaccino. Spero anche che si risolva il dramma di tante famiglie, che ciascuna trovi l’aiuto giusto per ripartire. Io sono stato fortunato perché la mia azienda non si è mai fermata. Però conosco tante famiglie in difficoltà e quando vado in parrocchia come volontario Caritas, tocco con mano i bisogni che sono cresciuti. In tanti si sono mobilitati ed è stato bello vedere crescere lo spirito di comunità: qui ci conosciamo tutti ed è un sollievo poter contare ciascuno sugli altri. Adesso spero che la solidarietà continui, che non si interrompa questo Natale in cui tutti siamo stati più buoni.
testo raccolto da Igor TraboniPrivata della libertà mi sono sentita viva
Virginia Valsecchi Studentessa liceale, 18 anni, Lecco - .
Questi sono stati mesi difficili, mi sono sentita privata della mia libertà, ma era quello che la vita mi ha messo davanti e l’unica cosa che potevo fare era variare il modo di vedere la realtà. Se all’inizio era come se la stessi guardando da un balcone, come se io fossi soltanto uno spettatore, poi con coraggio sono diventata la vera e unica protagonista della mia vita. Mi sono sentita viva. Mi serviva essere privata di tutto, per rendermi conto di quanto sia speciale ogni secondo della mia esistenza? Proprio così. Anziché lamentarmi della mancanza dei miei amici, ho iniziato a videochiamarli e mi sono accorta che chi ci tiene veramente non smette di essere presente. Sto dedicando molto tempo anche a me stessa e a ciò che amo fare e sto imparando ad ascoltarmi. L’importante è non smettere di sorprendersi e di continuare a stare attenti a ciò che ci accade intorno. La vita è un bene prezioso e il rapporto con gli altri è il nutrimento.
Il tetto della chiesa per incontrare Gesù
Padre Raffaele Giacopuzzi parroco della S. Trinità a Villa Chigi, 55 anni, Roma - .
I trenta pioli della scala che mi ha permesso di salire a celebrare la Messa domenicale delle 10.30 sul tetto hanno dato una connotazione di verticalità a questa 'maledetta primavera' che si è aperta a sempre nuove benedizioni dal cielo. La prima benedizione è il punto di vista: il tetto della chiesa, più basso dei palazzi intorno, è diventato la soluzione più ovvia per creare una comunità ad altezza di finestra e di balcone dove, rispettate le distanze, ci si può guardare negli occhi. Gesù ha detto «quando sarò innalzato attirerò tutti a me» ed è stato bello vedere come sia potente il messaggio del Vangelo quando diventa chiaro che è Lui che ci viene incontro per primo. La seconda grande benedizione è stata che parecchie persone si sono lasciate commuovere da un Dio così, e alla fine me lo hanno restituito ancora più bello e vicino. Terza benedizione: due persone che convivono da decenni ringraziano la pandemia perché gli ha dato la voglia di mettere il loro amore nelle mani di Dio.
La povertà vera, ma si riparte
Fedele Costadura venditore di giornali di strada, 60 anni, Milano - .
Domani ripartono le Messe e da fine maggio tornerò finalmente a lavorare. Ne avevo davvero bisogno. Ogni domenica fino all’8 marzo vendevo il giornale di strada promosso dalla Caritas 'Scarp de’ tennis' davanti alle parrocchie di Milano. Nell’altra vita ero un fotografo di alto livello, ma varie vicissitudini mi hanno portato sulla strada. Grazie alle vendite del mensile riuscivo a sbarcare il lunario, a pagare l’affitto per vivere in una casa vera. Le cose andavano abbastanza bene. E se la domenica non avevo incassato a sufficienza, arrotondavo durante la settimana con il mio vecchio mestiere, il fotografo. Da due mesi a questa parte, con la quarantena, non ho più potuto vendere il mensile né fare servizi fotografici. Ed è stata dura. In questo lockdown ho ritrovato la povertà. Non ho risparmi da parte, ho tirato la cinghia e ho mangiato con i buoni spesa del Comune. Mi hanno amareggiato le troppe chiacchiere dei politici, la gente ha bisogno di aiuto. Purtroppo siamo in tanti ad avere difficoltà. Da domani voltiamo pagina.