Rapporto Inps. Quei quattro miti da sfatare sul mercato del lavoro italiano
La lettura attenta delle 502 pagine del XXI Rapporto Inps intitolato 'Conoscere il Paese per costruire il futuro', aiuta a sfatare alcuni miti che si sono costruiti nel dibattito pubblico e che spesso risultano difficili da contrastare. Solo l’apparato di dati freschi e croccanti, organizzati dagli specialisti dell’Istituto presieduto da Pasquale Tridico, può consentirci di fare chiarezza su quattro temi:
1) I fannulloni del reddito di cittadinanza;
2) Il fenomeno delle grandi dimissioni;
3) Non si trovano camerieri;
4) Spendiamo troppo per assistere chi non ha un lavoro.
Chi prende il reddito di cittadinanza preferisce stare sul divano piuttosto che lavorare. Non è vero. Secondo i dati dell’Inps, che fotografano l’anno 2019, cioè l’ultimo utile prima della pandemia, solo circa il 30 per cento dei fruitori dell’assegno è un soggetto 'abile' al lavoro (i restanti sono computati tra disabili, minori, pensionati e persone che non hanno mai potuto lavorare) perché ha avuto almeno una esperienza lavorativa nei tre anni precedenti. Costoro, che hanno ottenuto il Reddito, non solo sono una percentuale molto bassa ma hanno caratteristiche ben precise: ovvero negli ultimi tre anni hanno avuto uno stipendio inferiore alla media, decrescente anno dopo anno e con orario sempre più ridotto. Disperati hanno chiesto il Reddito. Come diceva Adam Smith: mettiamoci una volta tanto nei panni degli altri.
C’è la Great Resignation, i giovani mollano il lavoro e viaggiano fluidi preferendo la libertà alla sicurezza. L’Inps definisce 'suggestiva' questa tesi ma non attinente alla realtà. Infatti il fenomeno dimissioni/nuove occupazioni è 'fisiologico' in un mercato del lavoro avanzato come quello dell’Italia. Normalmente il 70-80% trova un nuovo lavoro senza problemi nel giro di tre mesi. Anche durante la pandemia acuta, cioè nel 2020, con il mercato irrigidito dalle chiusure, il tasso di ricollocazione non è sceso sotto il 55-60%. Niente paura: anche i Millenials hanno bisogno di uno stipendio.
Non trovo camerieri e stagionali nel turismo. Anche in questo caso bisogna far ricorso a chi se ne intende. Il fenomeno, come vediamo in tv e ascoltiamo dal nostro amico ristoratore, è vero. Tuttavia la motivazione non è che gli italiani non vogliono fare un lavoro faticoso oppure che pretendono paghe più alte oppure che optano per il reddito di cittadinanza (tanto è vero che il lavoro part time è ai massimi storici). Più semplicemente durante la pandemia i servizi, cioè ristoranti e alberghi, sono rimasti chiusi e molti dipendenti sono stati costretti per sopravvivere a trovare altri lavori. Questo fenomeno è evidente dalle cifre: il settore alloggio-ristorazione dal 2019 al 2021 ha perso il 9,1% dei dipendenti, pari a 161 mila unità. È normale che spuntino i cartelli 'cercasi' sulle vetrine delle pizzerie. A meno che non si creda che l’operatore della ristorazione o del settore alberghiero non abbia nessuna specificità professionale.
Troppi soldi per assistere i senza lavoro. L’Inps sottolinea che 'si è molto discusso del costo del reddito di cittadinanza'. In realtà il reddito di cittadinanza nel solo 2021 è costato 8 miliardi, mentre delle agevolazioni contributive per le aziende che sono costate nello stesso anno circa 20 miliardi si è detto bene poco. Peraltro queste cifre correggono anche le valutazioni sul cosiddetto cuneo fiscale. Anche se tagliarlo è giusto bisogna dire che, al netto degli sconti contributivi in essere nel 2021, scende dal 40 di cui si parla al 35%. Il rapporto annuale dell’Inps di Pasquale Tridico è, insomma, davvero interessante.