Attualità

Trentino e Veneto. Il progetto di una diga sul Vanoi rievoca lo spettro del Vajont

Francesco Dal Mas sabato 16 novembre 2024

La valle del Vanoi e, sullo sfondo, il Lagorai

Il mese di ottobre, in Veneto, è stato il più piovoso degli ultimi 30 anni. Ma sulla scorta della siccità del 2022 e del 2023, la campagna veneta teme di rimanere senz’acqua ed il Ministero dell’Agricoltura ha finanziato il Consorzio di Bonifica Brenta di Cittadella (Padova) per la progettazione preliminare di una diga, nella valle del Vanoi, al confine tra le province di Trento e di Belluno. Un impianto da 20 milioni di metri cubi e dal costo di 170 milioni di euro. Con una duplice funzione: di serbatoio da svuotare in caso di siccità per dar acqua al fiume Brenta e quindi per irrigare la campagna padovana e vicentina e di bacino di laminazione, qualora dovessero ripetersi le precipitazioni abbondanti col rischio di far esondare i laghi e i corsi d’acqua magari troppo inghiaiati. Il “Brenta” ha presentato il Docfap, il documento di fattibilità progettuale e la contestazione è stata immediata. Nelle circa mille Osservazioni maturate nel corso del “Dibattito pubblico” avviato a settembre e in chiusura a fine anno, la criticità sollevata con più insistenza è quella della fragilità geologica dei versanti. E quindi alla sicurezza della valle e del territorio sottostante.

«Non vogliamo evocare la tragedia del Vajont di 61 anni fa – riflette il sindaco di Longarone, Roberto Padrin – ma la documentazione presentata lascia aperti troppi interrogativi per cui la nostra gente si preoccupa». Le Osservazioni sono arrivate da 80 soggetti – Regione Veneto, Province di Trento e Belluno, Sindaci contrari e favorevoli (questi ultimi, vicentini e trevigiani), Associazioni ambientaliste, Cai, Categorie economiche, sindacati – e in questi giorni vengono raccolte in un “Quaderno” (proprio così si chiama) dall’Ufficio del responsabile del dibattito pubblico che ha il compito di presentarlo il 21 novembre. Successivamente – entro comunque la fine dell’anno – il Consorzio dovrà fornire le risposte. Il “Brenta”, in sostanza, dovrà dire se l’itinerario di progettazione è opportuno che si interrompa, considerata la vasta contrarietà, oppure se, al contrario, è bene che prosegua l’approfondimento fino al compiersi del progetto definitivo. Dopodiché sarà il Governo a concludere se la diga s’ha da fare o no, trovando le risorse, che oggi non ci sono.

Il Vanoi non risulta, ad oggi, tra gli invasi pianificati dal Commissariato anti siccità. «Si tenga conto che il 6 novembre abbiamo consegnato alla Regione Veneto – ricorda Daniele Gubert, del Comitato di salvaguardia delle valli trentine interessate dal futuro “serbatoio” – più di 13mila firme in calce ad una petizione che non si limita a dire di no alla costruzione dell’invaso, ma indica precise alternative, a cominciare dallo sghiaiamento delle dighe e dei corsi d’acqua. Liberare il lago del Corlo dai sedimenti accumulati significa ridarli almeno 8-10 milioni di metri cubi di volume in più. E la Regione Veneto ha ottenuto per questa operazione uno stanziamento di 107 milioni». La possibile superficie del lago si aggira sui 200 ettari di territorio, sono coinvolti i territori della Regione Veneto, della Provincia autonoma di Trento, delle Comunità del Primiero, del Tesino, della Bassa Valsugana, del Feltrino e del fondovalle del Brenta, in totale 53 Comuni. Quelle 13mila firme sono state portate a Venezia con una marcia a piedi di 200 chilometri da parte di un centinaio circa di camminatori che lungo il percorso hanno pure appreso come si potrebbe ridare acqua alle falde di pianura senza stravolgere le valli alpine. Ben 7 le osservazioni presentate dalla Provincia di Trento. Riguardano anzitutto il mancato rispetto delle sue competenze e approfondiscono i rischi di stabilità dei versanti, evidenziati anche a seguito dei sopralluoghi in zona del Servizio Geologico che hanno consentito di valutare la presenza di frane, dissesti e potenziali crolli rocciosi nell’incisione valliva del torrente Vanoi. Vengono poi rilevati gli aspetti idraulici, quelli connessi con la disciplina normativa in materia di dighe, nonché gli aspetti inerenti all’utilizzazione di acque pubbliche.

Non ultimo l’argomentazione che mette al centro gli equilibri della fauna ittica. La Val Cortella, si riassume nelle osservazioni, « verrebbe occupata da un bacino del volume di milioni di metri cubi, lungo circa quattro chilometri, quasi completamente svuotato a scopo irriguo ogni anno, che avrebbe effetti dannosi sul mantenimento delle specie di pesci, in particolare della trota marmorata, impedendo ai riproduttori di risalire per deporre le uova e quindi producendo nel tempo un indebolimento della produzione ittica naturale». Un «no» chiaro e tondo quello del presidente della Provincia Maurizio Fugatti che specifica: «Per il Trentino è prima di tutto una questione di responsabilità, nei confronti del nostro territorio e di quelli vicini. Una conferma dell’attenzione all’ambiente e ai suoi equilibri sempre messa al primo posto da questa Amministrazione provinciale». Il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha ripetutamente fatto capire che la diga difficilmente si farà, ma che in ogni caso devono pronunciarsi esclusivamente i tecnici sugli aspetti ostativi. Al riguardo la Provincia di Belluno sostiene con Massimo Doriguzzi, consigliere provinciale alla Protezione civile, che «la zona è identificata come P4 quanto a pericolosità di frana. Il che significa massimo grado».