Attualità

Reportage /4. Quartiere Adriano, la promessa tradita

Claudio Monici lunedì 3 marzo 2014
Da lassù il panorama deve essere mozzafiato. E ancora più spettacolare lo sarà quando il sole volge al tramonto e Milano si accende di fuoco. Lo sguardo si perde fin oltre le guglie del Duomo. Si allunga sul nuovo profilo d’acciaio e cristallo che ha trasformato il volto e il cuore della città, e fugge, lo sguardo, fin quasi a sfiorare le vette delle Alpi. E laggiù? Tra quelle strade battezzate con i nomi di attori del cinema e del teatro italiano, è solo vuoto silenzio, desolazione. E buona pace per le gioie e i divertimenti che ci sono stati regalati da Gassman, Sordi, Tognazzi e pure Toto, il principe Antonio De Curtis, ora custode di una spelacchiata via campestre. Forse neppure loro sarebbero stati capaci di inventarsi una trama come questa ennesima storia di malcostume edilizio contro il territorio. Amaro destino per questo quartiere: monumento a un bel sogno che non c’è. In cima a quei settantasette metri di torre piantata in mezzo all’aria, 22 piani di grattacielo-spaziale, il silenzio è il vero padrone di casa e quando il vento soffia, a chiudere gli occhi, sembrerà pur di stare in solitaria aggrappati a una montagna. Ma poi quando il buio della notte man mano ricoprirà tutto, la solitudine dovrà sembrare più opprimente, mentre la mano corre alla serratura della porta di casa da chiudere con doppia mandata. Ma sarà quando al sorgere del giorno ci si sporgerà non soltanto dai balconi di questa torre solitaria, missile disperso nel mezzo di residuati di cantieri edilizi, container sventrati, pozze d’acqua marcia e campi incolti, greggi di capre e pecore pascolanti, tralicci sfrigolanti corrente, case rimaste a metà che sembrano teschi dalle orbite vuote, e quella costruzione puntellata che doveva diventare l’accogliente casa di riposo per anziani, vittima di faccendieri e speculazioni, pur volendosi consolare con una buona tazza di caffè, non si potrà non provare un vivo senso di malessere. E di sicuro anche molta rabbia di fronte a quella desolazione disgraziata in cui è stato abbandonato il quartiere Adriano-Marelli. Aree industriali dismesse: terra marziana da colonizzare. La zona in questione è un’ex area industriale riconoscibile per quel residuato bellico di rifugio antiaereo a forma di matitone che spicca verso il cielo. Località dove c’è chi ha scelto di venirci a vivere e metter su famiglia, affidando i propri sogni, e mutui, a chi ha promesso la solita "Città ideale". «È stato lasciato tutto a metà strada, e l’immagine che se ne ricava è quella del deserto. Del disordine e dell’incuria, con buona pace, purtroppo, di chi già ci abita e patisce la mancanza di qualsivoglia servizio.– racconta don Fiorenzo Mina, parroco di Gesù a Nazaret, parrocchia del quartiere "vecchio" posto dall’altra parte di via Adriano –. Vorrei poter restare speranzoso e immaginare "Adriano-Marelli" il nostro futuro prossimo, costruito dalle nuove famiglie, dai giovani. Però una cosa la devo dire: non si dovrebbe mai promettere per poi non mantenere la parola data. E penso che non sia onesto offrire una casa e dire che ci saranno tante belle cose e lasciare tutto nell’incompiuto abbandono e nella trascurata solitudine». Un "paesaggio che mantiene l’equilibrio tra architettura, natura e funzionalità degli spazi al fine di garantire la massima integrazione dell’area e un’ottima vivibilità degli ambienti". Sono le parole offerte come biglietto da visita del futuro che doveva trasformare un’area di cinquecentomila metri quadrati a nord est di Milano, al confine con Sesto San Giovanni, sull’ex area industriale «Magneti Marelli»: il Parco Adriano. «Servizi e architettura dagli elevati standard di qualità», oltre ad «ampi spazi e servizi pubblici», e un grande polmone verde a occupare la metà di tutto quella grande promessa. E poi ancora nella lista della spesa delle idee ci stavano l’asilo nido, la scuola materna, il centro polifunzionale, le residenze per anziani e universitari, una piscina, le palestre e ancora «luoghi dedicati alle manifestazioni sportive e agli spettacoli». Insomma, un lavoro di alta riqualificazione, di alto prestigio, dove immettere anche - perché una parola d’ inglese non può mancare e fa chic -, un «landmark»: un punto di riferimento prestigioso, la pietra miliare della Città ideale. Sei torri spaziali di settantasette metri. Poi qualcosa si è inceppato. La crisi ha fermato l’orologio delle promesse. E del grande sogno di un «Parco Adriano» non rimane che quella solitaria torre-spaziale, abitata da una decina di famiglie, un paio di grattacieli, e attorno l’incompiuto vuoto. E poi che dire di quei palazzi costruiti con l’affaccio sulla Centrale ricevitrice elettrica di via Ponte Nuovo. Un panorama su tralicci e fili elettrici che si intrecciano come rabbiose cancellature nel cielo. Pare di vivere accanto a una grande zanzara che non smette mai di ronzare. Un fastidio che di notte diventa insopportabile. «Torni da noi quando piove o c’è umidità nell’aria, sentirà che scariche e che sfrigolare di corrente. D’estate qui non si dorme per via dell’elettrodotto. Ma non è questo che ci preoccupa: ha sentito parlare dell’alto numero di casi di tumore in queste case?», dice il signor Mario, mentre passeggiando col nipotino fa lo slalom fra le auto sul piazzale del parcheggio, perché il parco è ancora un cantiere. La crisi, è vero, ci ha messo il veleno nella vita di ogni giorno, e il mercato della casa è in sofferenza, non si vende né si acquista con la disinvoltura di una volta. Ma la crisi non è caduta dal cielo. Eppure, come una "Lunga marcia" cinese, la promessa è rimasta tale e ora il futuro del «Parco Adriano» è un cratere lunare. Don Fiorenzo Mina, osserva: «Anche mantenere una promessa significa avere a cuore la bellezza e cura delle persone. Invece ancora una volta la gente è stata illusa. Qui sono tutti delusi e si sentono abbandonati: "Ci hanno venduto una bella fotografia", dicono. E la situazione di desolazione è evidente a tutti». Via Adriano taglia la parrocchia in due, come una mela. E neppure dall’altra parte ci si può dire immuni dalla solitudine di una periferia: «Se di là manca di tutto, neanche un negozio, da noi a parte i soliti bar, siamo costretti a servirci, e meno male che c’è, di una parafarmacia per acquistare pane e latte - evidenzia il parroco -. E pensare che i negozi erano anche una occasione d’incontro fra persone, nei momenti semplici e quotidiani della vita. Oggi quando mi capita di andare a far visita alle famiglie che abitano questi casermoni, è come se non incontrassi nessuno. Sembrano luoghi dove le persone tendono a vivere nel loro isolamento di un appartamento. Sono rari i momenti che noto di condivisone comune, di persone che stanno insieme». Don Fiorenzo prima di salutarci, ricorda di quando parroco di Castelveccana, paesino sulle rive del lago Maggiore, si circondava dei suoi 1400 parrocchiani distribuiti su otto chilometri quadrati di territorio. Oggi, quando va a benedire le famiglie di Parco Adriano-Marelli, ne conta più di 1300, solo in 19 scale dei palazzi affacciati sull’elettrodotto della paura.