La ricerca. Così si misura la felicità. Ecco perché oggi siamo meno soddisfatti
Misurare la felicità di un gruppo o di una nazione è una delle imprese più difficili. Soprattutto, se non lo fanno uno scrittore o un filosofo con la loro sensibilità personale, ma un gruppo di psicologi che cerca la solidità scientifica. Stavolta ci hanno provato alcune università britanniche. E il verdetto sembra confermare che sono gli anni di crescita e serenità sociale quelli che alimentano sentimenti positivi diffusi.
Se si prendono in considerazione gli ultimi due secoli in quattro Paesi occidentali, a spiccare sono la Belle époque, cioè i ruggenti anni 20 del Novecento, e i primi anni di questo secolo, quelli del boom dell'economia digitale. Anche l'Italia, compresa nello studio insieme a Usa, Germania e Regno Unito, pare avere vissuto la stessa dinamica. Nel nostro Paese, si segnala poi un lento e costante declino della felicità negli anni del fascismo e un drastico calo nel periodo della grande crisi a partire dal 2008.
Ma come si può dedurre un sentimento individuale e collettivo così soggettivo e suscettibile di repentine variazioni? I ricercatori coordinati da Thomas Hills della University of Warwick hanno combinato informazioni tratte di libri e giornali pubblicati dal 1820 ad oggi. Per valutare l'umore delle persone e il suo mutamento, è stata messa a punto una tecnica basata sull'analisi del linguaggio utilizzato nei libri e nei giornali pubblicati negli ultimi 200 anni e disponibili su Google Books. Un software analizza la frequenza delle parole collegate alla positività e stila un indice per singolo anno o per un lasso di tempo a piacere.
Un punto da sottolineare è che non c'è accordo tra studiosi nemmeno sulla definizione di felicità e che una grande mole di ricerche precedenti (condotte sopratutto intervistando le persone) ha evidenziato come il reddito e la ricchezza, oltre una soglia minima, non siano strettamente correlati con la soddisfazione circa la propria condizione. Contano di più le relazioni familiari e i rapporti interpersonali. Inoltre, la felicità dichiarata dalle persone tende a tornare a un livello medio specifico per ciascuno anche dopo eventi significativi sia negativi sia positivi. In altre parole, perdere il lavoro o vincere alla lotteria, deprime o esalta la soddisfazione, ma poi si torna al punto di partenza, risalendo o riscendendo, indipendentemente dagli eventi successivi.
Spiega l'economista italiano Eugenio Proto, che lavora all'Università britannica di Glasgow e ha partecipato al lavoro pubblicato sulla rivista "Nature Human Behaviour":
"Il nostro è il primo studio di questo tipo ed è un passo importante per comprendere la soddisfazione delle persone nel passato. Noi abbiamo fornito uno strumento, adesso tocca agli storici e ai sociologi interpretarlo, per collegare il benessere soggettivo con i fatti accaduti nei periodi analizzati". La storia dell'umore nazionale, oltre "a far capire meglio un Paese", secondo Proto, "aiuta i governi a progettare le politiche per il benessere". La ricerca, infatti, mostra che in generale longevità e aumento del Pil fanno crescere la felicità dei Paesi presi nel loro complesso (se ne avvantaggiano infatti i più poveri), mentre la fanno diminuire crisi economiche, disoccupazione e conflitti, ad esempio, come prevedibile, ci fu un crollo generale della felicità durante Prima Guerra Mondiale.
Se l'intonazione dei testi pubblicati di un'epoca può dirci qualcosa della felicità (e non è detto che sia così), è curioso notare che qualcosa del genere possiamo fare in tempo reale anche noi stessi oggi. Il servizio di posta di Google mail fornisce infatti un giudizio sul tono emotivo dei nostri messaggi.