Attualità

Pensioni. Nannicini: «Piano pensioni per i giovani»

Eugenio Fatigante venerdì 7 ottobre 2016
Tommaso Nannicini, 43 anni, economista bocconiano di Montevarchi, vive da sempre l’impegno anche a 'sporcarsi le mani', ovvero a tradurre in politiche concrete il suo pensiero, il che lo distingue dai suoi colleghi più amanti delle sole teorie economiche (che, nel suo caso, sono quelle di una sinistra liberal-riformista). Anche per questo Renzi lo ha voluto a Palazzo Chigi da sottosegretario, come 'primo filtro' (in collaborazione con il Tesoro) delle azioni che il governo intende attuare. In questo ruolo ha condotto la recente 'nuova concertazione' (o quel che sia) coi sindacati sulle pensioni. In questa settimana di relativo riposo, prima di tuffarsi a 360 gradi nella definizione della manovra 2017, riflette con Avvenire sulle 'mosse' che ha in mente, in particolare per i giovani italiani. Professore, l’obiezione al verbale governo-sindacati è quella che ancora una volta si destinano fondi per pensionati e pensionandi, sacrificando le esigenze dei più giovani. Mi sembra un commento con le lancette dell’orologio indietro di qualche anno. Per l’esigenza di far cassa, in passato, nelle tasche dei pensionati si sono messe soprattutto le mani, adesso si mette qualche risorsa in più. Non c’è nessun passo indietro rispetto alla sostenibilità finanziaria del sistema, che implica un corretto rapporto tra generazioni. Semplicemente, si prende atto che i conti in ordine non escludono interventi di equità sociale a favore di specifiche categorie. Per i giovani ci sono le misure a favore della crescita, dell’occupazione stabile e l’avvio di un percorso serio di revisione del metodo di calcolo contributivo. Quella che nel verbale è chiamata 'fase due'. Cosa conterrà? Fase due non significa rimandare alle calende greche, ma partire pragmaticamente dai problemi più pressanti per poi aprire un confronto serio su una riforma strutturale del sistema contributivo. Sta lì la parte più innovativa del verbale, con l’idea di unire al taglio del cuneo contributivo e al rilancio della previdenza complementare anche una nuova pensione contributiva di garanzia. Sarà uno zoccolo duro, legato agli anni di contributi e all’età di uscita, per garantire che anche pensioni basse siano adeguate e per evitare che i giovani di oggi diventino i poveri di dopodomani. Veniamo all’Ape, l’anticipo pensionistico. Perché dovrebbe convenire?Perché sarà un’opportunità in più per chi vuole gestire in modo flessibile il passaggio dal lavoro alla pensione. Ci saranno agevolazioni fiscali sulla componente assicurativa e sulla spesa per interessi. Alla fine i costi saranno più bassi di quelli che si dicono, ma è presto per fare numeri. Poi ci saranno l’Ape sociale, dove lo Stato si farà carico di garantire un reddito-ponte minimo per chi vi accede in stato di bisogno, e l’Ape aziendale, dove saranno il datore di lavoro o un fondo bilaterale a farsi carico dei costi. Perché si continua a considerare come parametro il reddito personale più che quello familiare o l’Isee? Perché il nostro sistema fiscale si basa sul reddito personale e non su quello familiare. Chi critica gli 80 euro per i lavoratori dipendenti o la 14esima per i pensionati perché può prenderla anche la moglie di un ricco professionista, trascura questo elemento di fondo. Ci tengo a precisare che la 14esima è un intervento sui redditi da pensione, legati ai contributi, non una misura assistenziale. L’equità è una cosa seria. Troppo seria per farla a colpi di Isee o di editoriali della domenica. I nuclei con figli chiedono di introdurre il Fattore famiglia. Perché è così difficile farlo passare, dato anche il crollo demografico?E’ un tema importante, ma il luogo giusto dove parlarne è la riforma strutturale del-l’Irpef, che Renzi ha sempre annunciato per il 2018. L’ambizione del governo è quella di disegnare una politica economica dove, passo dopo passo, manovra dopo manovra, vengono sciolti i nodi strutturali che il nostro Paese ha aggrovigliato. Non ci accontentiamo di interventi estemporanei tanto per mettere qualche bandierina, per dire che abbiamo fatto qualcosa per la 'famiglia' o altro. Servono riforme ambiziose, e non puoi farle tutte insieme. Ma a fine legislatura, tutti i pezzi del puzzle andranno al loro posto. Fra Sia, Asdi, assegni al nucleo familiare, assegno con 3 figli minori, di maternità, ecc., non si rischia di fare confusione e di disperdere risorse? Tant’è che a volte questi strumenti non sono conosciuti nemmeno da chi ne avrebbe diritto... Il nostro sistema assistenziale soffre di una carenza di risorse e di una frammentazione delle misure. Con le risorse stanziate per il 2016 e con quelle della prossima Legge di bilancio stiamo aggredendo il primo deficit. Con la legge delega sulla povertà che è in cammino al Senato, il cui esame va concluso nel 2017, dobbiamo aggredire il secondo. Non si tratta di tagliare misure esistenti per crearne di nuove, in una sorta di 'guerra tra poveri', ma di ridurre le iniquità insite in un sistema frammentato, in un labirinto dove troppi finiscono per perdersi. Il nuovo reddito di inclusione deve essere il punto di accesso al sistema di contrasto alla povertà assoluta, per consolidarlo intorno a un’architrave unica, all’interno della quale bisogni diversi riceveranno poi risposte diverse. E lo 'Student act'? Di cosa si tratta? Stiamo lavorando a un pacchetto che, per dirla con la Costituzione, dia risposte concrete ai 'capaci e meritevoli anche se privi di mezzi'. Ci sarà un intervento sulla no tax area in tutte le università, in modo che per chi vive in famiglie con un Isee basso (al di là del merito) le porte degli studi siano sempre aperte e accompagnate da attività di tutoraggio. Poi ci sarà un rafforzamento del diritto allo studio universitario tradizionale, per chi è in condizioni di bisogno e mantiene certi risultati negli studi. E infine un intervento-pilota sempre per gli studenti in famiglie con Isee basso, ma concentrando gli sforzi sui più meritevoli: lanceremo assieme alle scuole uno scouting di chi mostra talenti particolari anche se fronteggia condizioni di difficoltà, in modo da pagargli tutto nel corso degli studi universitari (tasse, vitto, alloggio, stipendio). Merito e bisogno. A che punto è il fondo attivato con le Fondazioni bancarie contro la povertà educativa? Siamo pronti con i primi bandi, per l’età prescolare e quella adolescenziale. Presto ci saranno risorse importanti, assegnate a progetti mirati per contrastare la madre di tutte le diseguaglianze. Terzo settore, scuole, enti locali guideranno questa sfida. Tempo fa, ho visitato un punto-luce di 'Save The Children' e in un laboratorio di disegno sui diritti, mi ha colpito che una bambina o un bambino avevano disegnato 'il diritto a studiare tanto'. Se vogliamo crescere come Paese, dobbiamo dare le ali a questi sogni e a queste ambizioni.