Profughi. Lukashenko fa piazza pulita. E una famiglia iraniana rischia la vita
Bloccati in Bielorussia come tanti altri profughi mediorientali, rischiano il rimpatrio andando incontro a morte certa. È la storia incredibile di una famiglia di cristiani iraniani con quattro bambini che ha chiesto protezione umanitaria e ha invece buone probabilità di venire rimpatriata. Le autorità bielorusse hanno respinto due volte – la seconda con una fretta sospetta – la domanda di protezione per una evidente persecuzione religiosa sconsigliando ufficiosamente di ricorrere perché al terzo diniego scatterebbe il rimpatrio.
Ma in Iran chi si converte rischia la condanna a morte per apostasia. La guerra nella vicina Ucraina sta accelerando i repulisti minacciati dagli uomini del dittatore Lukashenko ai profughi che ha fatto arrivare negli anni per usarli contro la Ue. Bisogna fare spazio agli ucraini, è il messaggio lanciato a chi vive bloccato a Bruzgi, nel fabbricato adibito a rifugio sommario nella foresta vicino all’impenetrabile confine polacco, come a chi ha un alloggio urbano.
Maryam e suo marito hanno scelto la fede cristiana evangelica sette anni fa. Quattro anni fa hanno deciso di partire per la Bielorussia per sfuggire alla grande pressione del regime di Teheran. Il loro caso è seguito dagli attivisti umanitari polacchi di Hope&Humanity e dall’Ong Gandhi Charity. Grazie a loro siamo riusciti a contattare Maryam telefonicamente. «La nostra vita in Iran era difficile, avevamo paura – spiega – perché cambiare religione è pericoloso. Molte persone ci hanno suggerito di partire per la Bielorussia. Qui abbiamo presentato domanda di asilo, per poi passare il confine ed entrare in Europa. Abbiamo parenti in Germania. Pensavamo fosse più facile».
La famiglia vive in un piccolo alloggio a Gimel, la seconda città della repubblica più fedele alla Russia di Putin. Ma marito e moglie non possono lavorare. Sopravvivono grazie all’aiuto della comunità evangelica locale e loro e i bambini di 14, 11, 7 e 4 anni ricambiano come possono, ad esempio cantando nel coro alle funzioni. «Lo Stato si è disinteressato di noi – prosegue Maryam –. Quattro mesi fa abbiamo ricevuto un sussidio dalle Nazioni unite, poi più nulla». Eppure anche la tv pubblica ha raccontato la loro storia. Li ha intervistati sulla persecuzione dei cristiani in Iran a settembre, ma non ha rispettato la promessa di oscurare i loro volti nel servizio mandato in onda e di non fornire le loro generalità, aggravandone la posizione.
I bambini patiscono molto la situazione precaria. I due più grandi hanno perso anni di scuola perché le autorità sostenevano che la loro presenza nel Paese fosse temporanea. Solo da qualche tempo li hanno ammessi. «Ma non è cambiato molto – commenta Maryam –. Hanno molti problemi a seguire le lezioni perché non hanno imparato il russo e parlano poco l’inglese. Invece i due più piccoli sono a casa tutto il giorno».
La loro vicenda si è improvvisamente avvitata. Dopo che a gennaio la loro domanda di asilo è stata clamorosamente respinta, hanno presentato ricorso pensando di attendere anni o di avere ragione. Invece dopo 15 giorni è arrivata la seconda bocciatura. È il nuovo corso di Lukashenko. Prima ha invitato i profughi in Bielorussia per usarli e poi se ne sbarazza quando non servono più. «Se dovessimo presentare appello – prosegue la mamma – e perdessimo, come è probabile, saremmo rimpatriati. Ci hanno consigliato di andarcene. Non possiamo rimanere in questo limbo. Chiediamo aiuto all’Unione europea perché ci protegga e ci porti via e ci faccia ricongiungere con i nostri parenti in Germania».
Poi la voce della donna si incrina. «Non voglio sembrare arrogante – conclude disperata Maryam – ma ci sarà almeno una persona che possa ascoltare la mia richiesta di aiuto. I miei quattro bambini sono senza una casa, mi chiedo come mai questo mondo non abbia posto per sei persone. O proviamo ad attraversare la foresta per entrare in Polonia rischiando di morire. Oppure rischiamo il rimpatrio e quindi una condanna a morte per la nostra fede». L’Ue, terra di libertà che sta aiutando gli oppressi ucraini, non può restare sorda all’urlo di una famiglia che sta pagando un prezzo altissimo per la libertà religiosa.