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Migranti. Raimondi: «Profughi, l'Europa non ripeta l'errore che fece con la Shoah»

Angelo Picariello mercoledì 23 novembre 2016

Sull’immigrazione l’Europa - voltandosi dall’altra parte - rischia di scrivere un’altra pagina di disumanità, come fu per la Shoah. La Corte europea dei diritti dell’uomo segue con attenzione e preoccupazione questo vasto fenomeno fatto di respingimenti alla frontiera, di muri eretti e di trattenimenti prolungati. Ed ha già pronti i suoi 'paletti' da far valere con i singoli Stati quando dovessero arrivare alla sua attenzione ricorsi per violazione dei diritti umani. Il presidente, l’italiano Guido Raimondi (da un anno al vertice della Corta di Strasburgo) parla del ruolo della Cedu nel pieno di una crisi migratoria che definisce «senza precedenti», esposta a rischi innumerevoli di violazioni umanitarie, che riportano alla mente l’orrore di oltre 70 anni fa, che pensavamo di esserci lasciati alle spalle. «La coscienza della orribile negazione della dignità umana che si verificò con l’Olocausto, e le altre atrocità perpetrate in quel periodo oscuro della storia dell’umanità, ha fortemente contribuito ad affermare l’idea che la protezione della dignità umana si imponga su quella fino allora mai contestata della sovranità nazionale», ricorda. «Senza la diffusa indignazione dovuta a quegli eventi gli Stati difficilmente avrebbero consentito quella forte limitazione della loro sovranità contenuta nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che conferisce alla Corte di Strasburgo la possibilità di emettere sentenze vincolanti per i singoli Stati, fino a imporre la modifica delle loro leggi». Ora, però, l’Europa rischia di smarrire quell’insegnamento, di fronte a questa nuova sfida epocale. «La ricetta non ce l’ha nessuno, ma l’Europa non può sfuggire al suo compito storico», dice Raimondi.

Il presidente della Cedu parla a margine della cerimonia del premio 'Diritti umani' intitolato alla memoria del giudice costituzionale Maria Rita Saulle, organizzato dall’istituto di studi politici San Pio V, conferito ogni anno alla miglior tesi di dottorando di ricerca sull’argomento. «Bisogna trovare il modo per trasformare questo grande problema che abbiamo di fronte in opportunità», auspica. La Corte non è stata ancora chiamata a pronunciarsi, ma è pronta a farlo. E, sebbene non abbia poteri per intervenire d’ufficio, ha già ben chiaro, su casi che dovessero arrivare alla sua cognizione, la linea da tenere sugli aspetti più delicati: le condizioni delle strutture di accoglienza, i tempi delle procedure e - soprattutto - sulla tutela dei minori migranti senza i loro genitori. «Ci aspettavamo una valanga di ricorsi, ma finora non è avvenuto. Non ancora, almeno. Probabilmente perché sono ancora in corso nei paesi interessati procedure di asilo. Ma la Corte è già ben attrezzata di fronte a probabili ricorsi, e ha elaborato una serie di principi chiari e facilmente applicabili, per gestire il contenzioso».

Dove vengono accolti, come vengono sistemati, come vengono gestite le identificazioni e le domande di asilo? «Sono tutti aspetti su cui la vigiliamo attentamente. Perché quand’anche si tratti di cosiddetti 'clandestini' essi vanno sempre trattati in linea con i principi di umanità, predisponendo strutture in grado di offrire loro un minimo di conforto». Entra in ballo il tema della privazione di libertà. «Gli Stati hanno la possibilità di ricorrere alla cosiddetta 'retenzione amministrativa' ». Ma il nodo è la sua durata. Che può diventare, giocando sulle parole, vera e propria 'detenzione'. «Privare un immigrato irregolare della sua libertà è possibile, ma solo per il tempo strettamente necessario a effettuare i dovuti accertamenti circa la loro identità e l’eventuale richiesta di asilo. La Convenzione di Ginevra prevede una gran differenza per il fatto che si tratti o meno di persone sospettate di reati». E, se non ci sono specifici sospetti, «la 'retenzione' richiede il rispetto di assoluta diligenza da parte degli Stati. Una persona che viene privata delle sue libertà non deve essere trattenuta un minuto di più del necessario. E occorre una legislazione adeguata a garantirlo », avverte Raimondi.

Ma soprattutto c’è un mondo di 'invisibili' che da soli non sono nemmeno in grado di fare ricorso: la mente va al triste fenomeno dei minori non accompagnati. Secondo l’Europol a inizio 2016 erano circa 10mila quelli scomparsi una volta arrivati in Europa. Stando ai dati diffusi dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) su 154mila migranti sbarcati sulle coste italiane nel 2015 oltre 16mila erano minori, e di questi ben 12.360 risultavano non accompagnati, pari all’8 per cento del totale degli arrivi. «Il problema dei minori non accompagnati - conferma il presidente Raimondi - è molto grave. L’interesse del minore va assolutamente salvaguardato e protetto. Gli Stati sono tenuti a porre in essere tutto quanto è necessario per tutelarli, anche rinunciando, se necessario, a privare della libertà i genitori del minore, se questo fosse pregiudizievole per il suo interesse». Il fenomeno riguarda in larga misura proprio il nostro Paese, terra di frontiera e approdo del Sud Europa, si calcola che ne siano spariti in Italia, nel corso del solo 2015, oltre 5mila. «Al momento, però, non ci sono state ancora sentenze su casi italiani, mentre ci sono state per casi francesi». In Francia ha fatto molto discutere, qualche settimana fa, lo sgombero del campo di Calais, soprannominato la 'giungla', dove erano accampati migliaia di migranti diretti inutilmente oltre Manica. È l’Europa dei muri e delle barriere, in Ungheria, Bulgaria, Austria. «Finora non c’è un fascicolo aperto su Calais, ma probabilmente ne avremo », prevede Raimondi. «Gli Stati sono liberi di regolare i flussi migratori, ma da questo a creare dei muri che possono dar luogo a violazioni gravi ed emergenze, ne passa», avverte il presidente della Corte europea per i diritti umani. «Su tutti questi fenomeni saremo molto attenti a valutare le violazioni di diritti umani che dovessero essere sottoposti al nostro giudizio».