Bruxelles. Procedura Ue più vicina. Conte a Tria: servono soldi
La «forte preoccupazione» ammessa giovedì, per la prima volta, da Giuseppe Conte ha trovato conferme, venerdì. Passi avanti, per ora, non si vedono sullo spettro di una procedura per debito contro l’Italia. «Il caso italiano? Non ne abbiamo parlato», afferma Angela Merkel, cancelliera tedesca. Non vede molte alternative Mark Rutte, il premier olandese: «Sono certo che la Commissione garantirà che l’Italia attui in modo rapido ciò che deve essere fatto oppure procederà». Le foto-simbolo di questo Consiglio Europeo di giugno, diffuse da Palazzo Chigi per negare il racconto di un’Italia "isolata", sono un deja vu: come un anno fa, ritraggono il nostro capo di governo alle 4 dell’altra notte davanti a un boccale di birra, al tavolo di un bar dell’hotel Amigo, nel "cuore" di Bruxelles, intento a chiacchierare da due ore con Merkel (e il portavoce Casalino fa da interprete), il presidente francese Macron e il lussemburghese Bettel. Un anno fa, però, c’era curiosità; oggi solo preoccupazione.
A fine vertice, è un Conte stanco e con poca voglia di sorridere quello che si presenta ai giornalisti. Nessun preambolo, subito le domande. E il premier torna a ripetere: «Il nostro obiettivo è condurre in porto il negoziato per evitare la procedura. Ma è molto difficile e complesso». Anche la vigorosa difesa della lettera inviata a Bruxelles mercoledì ha un anello mancante: il premier non riferisce di un solo riscontro positivo. Insomma come poche ore prima, Conte riconosce di essersi trovato di fronte un quadro diverso dalle aspettative, pur non avendo mai pensato di avere «una strada spianata», e si appella a un concetto non inedito, ma che sa tanto di ultima spiaggia: il "fair play" politico. «È una situazione un po’ strana. Con una Commissione in uscita, per fair play non assumi decisioni di portata straordinaria», dice. E allora «dobbiamo lavorare sull’assestamento di bilancio» che verrà presentato il 26, «perché è ingiusto che ci venga richiesto altro», cioè una vera manovra correttiva. Il premier è convinto che «i numeri reali sui conti italiani li abbiamo noi, perché aggiornati a giugno, non si tratta di esercizi accademici» e, in uno scatto d’orgoglio, rivendica, negando scambi con altri dossier europei: «Io non mi presento qui col cappello in mano, non lo porto proprio il cappello, l’Italia non ha nulla da farsi scusare». E rispetto alle nomine aggiunge che sono «partite distinte», solo sull’ipotesi del tedesco Jens Weidmann alla Bce, certo non gradita, puntualizza che «bisogna tener conto degli equilibri complessivi».
Ma restano parole, dietro le quali è difficile scorgere se ci sono novità di sostanza, al di là di un generico tentativo di far rinviare la decisione a ottobre, quando poi toccherebbe alla nuova Commissione. Il portavoce di Palazzo Chigi riferisce di «un lungo colloquio telefonico» giovedì fra Conte e il ministro dell’Economia, Tria, durante il quale il premier ha chiesto al Tesoro di iniziare a sondare altre coperture. Dopo il maxi-dividendo chiesto a Cdp, entra nella partita pure parte del dividendo della Banca d’Italia, superiore al previsto. Rimangono però incassi spot, lontani da quei segnali che l’Ue esige anche per il 2020. Anno sul quale pesano sempre, invece, le richieste degli alleati, in particolare di Salvini con la Flat tax. Da Roma giungono gli echi di un’intervista del vicepremier leghista che insiste su una versione da almeno 10 miliardi: «Le sorti del governo non dipendono da un articolo di giornale. Anche io sono molto ambizioso – rilancia il presidente del Consiglio –. Non mi accontento di agire su un’aliquota, voglio realizzare un patto fiscale fra Stato e contribuenti». Altre parole, dopo le quali ripete però di «aspettare proposte concrete, c’è un tavolo fissato». Quanto alla proposta giallo-verde di cambiare le norme per Banca d’Italia, altra potenziale mina sulla via di un’Italexit, risponde semplicemente «non commento perché non la conosco». I motivi di attrito, insomma, vengono tutti smussati. Il clima dell’ultimatum lanciato dall’uomo di Palazzo Chigi, meno di 20 giorni fa, sembra lontano: oggi Conte parla di ritrovata «fiducia, non c’è alcun segnale che si torni indietro ed evitare la procedura e le annesse sanzioni è il primo obiettivo. Una priorità per Palazzo Chigi e il Tesoro, meno per Salvini. Presto il rebus dovrà sciogliersi.