Primarie Pd. Bonaccini avanti su Schlein. Il nodo alleanze eluso nel confronto in tv
La “fase 1” del congresso Pd si chiude senza particolari sorprese, al netto del vantaggio di misura guadagnato da Elly Schlein nelle grandi città. Stefano Bonaccini si conferma l’uomo nel quale confida lo zoccolo duro del partito, staccando di quasi 20 punti l’avversaria (52,87% contro 34,88%). Non sarà facile colmare il divario all’ombra dei gazebo, domenica prossima, tuttavia la sfida non è chiusa e il confronto televisivo di ieri sera ha aperto le danze per la volata finale. Fine della corsa, intanto, per Gianni Cuperlo e Paola De Micheli, fermi rispettivamente al 7,96% e al 4,29%.
Dei 151.530 votanti, quasi 80mila hanno scelto il governatore emiliano, mentre in circa 52mila hanno votato Schlein, che ha vinto anche nei più importanti centri urbani come Roma, Milano, Venezia e Napoli, incassando la maggioranza delle preferenze in molte periferie. Il distacco è ampio, ma non abbastanza per convincere Bonaccini ad abbandonare la prudenza. Anche se ieri ha voluto far capire a tutti che l’uomo giusto al momento giusto è proprio lui: «Credo di poter avere l'esperienza, la storia, le qualità per guidare questo partito, per poterlo unire e provare a costruire un nuovo centrosinistra. Il primo obiettivo – ha aggiunto – sarà tornare tra qualche anno al governo perché avremo battuto la destra». Un concetto ribadito anche nel dibattito andato in scena su Sky Tg24. «Veniamo da due sconfitte pensanti – ha incalzato –. Chiedo al Terzo polo e al M5s di iniziare a fare opposizione» a partire dalla sanità pubblica e da una battaglia politica contro chi propone tagli sulla «carne viva degli italiani». Da parte sua Schlein ha affidato una nota al suo staff in cui si è mostrata carica per il risultato ottenuto e convinta che quella in vista dei gazebo sarà «una nuova partita» sulla base di uno «zero a zero». Di fronte al suo avversario, rispetto al quale è apparsa più in affanno e meno avvezza ai tempi serrati di un dibattito, l’ex vice presidente emiliana ha confermato la sua attenzione alla lotta alle disuguaglianze e a quella a difesa della comunità Lgbt, rivendicando l’appoggio all’Ucraina (anche militare), ma invocando un maggior impegno per un cessate il fuoco. Un fronte sul quale Bonaccini è stato molto più categorico (specie per quanto riguarda l’invio di armi).
Altra questione che ha diviso i due sfidanti è stata il lavoro, per il quale Schlein ha proposto un deciso contrasto alla precarizzazione, contro l’aumento del costo dei contratti meno stabili immaginato da Bonaccini. Entrambi hanno comunque concordato sul mantenimento, pur con correttivi, del Reddito di cittadinanza.
Appena accennato, ma sostanzialmente eluso, è stato il tema alleanze. E alla richiesta di indicare ideali compagni di viaggio per il futuro nessuno dei due candidati ha nominato centristi o grillini: Cuperlo, De Micheli e Bonaccini per la deputata bolognese (oltre a Meloni «perché bisogna conoscere gli avversari»); Segre, Veltroni e gli elettori persi per il governatore, che ha poi aggiunto: «Tra Renzi e Calenda? Porterei Draghi». D’altronde come ha ricordato lui stesso, i l prossimo appunta mento elettorale saranno le europee, dove non si dovrà fare i conti con «l’assillo» degli apparentamenti. La promessa finale, fatta da entrambi assieme ai reciproci complimenti e all’invito comune al voto di domenica, è che nessuno abbandonerà la nave e che si continuerà a lavorare assieme.
Tornando al voto, va registrata la recriminazione di Cuperlo (che non farà endorsement, mentre De Micheli non ha sciolto le riserve), pungente contro il voto aperto a elettori e simpatizzanti: «La prossima volta facciamo che 151mila iscritti e iscritte al Pd siano sufficienti a eleggere il segretario o la segretaria?». Il segretario uscente, Enrico Letta, pare invece aver trovato un motivo per festeggiare nel «risultato straordinario di partecipazione politica, unico in Italia». I numeri, però, certificano una realtà diversa, con quasi 40mila votanti in meno rispetto al congresso vinto da Nicola Zingaretti nel 2019 (un calo di circa il 20%).
Nel frattempo i big schierati dall’una o dall’altra parte hanno iniziato a dare battaglia. Gli affondi più duri sono arrivati da Francesco Boccia (che ha sconsigliato di votare il gruppo dirigente, vicino a Bonaccini, che votò il Jobs act), e da Andrea Orlando, che con il candidato in testa, “reo” di aver fatto notare il sostegno di molti esponenti di spicco a Schlein , è stato ancor più duro: «Chi si candida alla segreteria dovrebbe far capire cosa vuole fare. E comunque bisognerebbe avere almeno rispetto per la verità se non verso i propri compagni di partito, per i quali si mostra meno fair play che verso la Meloni». Laura Boldrini, infine, è sembrata guardare addirittura più in là, augurandosi, assieme alla vittoria di Schlein, anche un cambio di nome dei dem: da Partito democratico a “Nuovo partito progressista”.